PRESEPE VIVENTE

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Il Natale ed il presepe sono eterni.
Essi vennero dal tempo, perchè è dal tempo che nacquero, il Natale e il presepe.
Essi sono la vita e la libertà, perchè questo significano il Natale e il presepe.
E’ la vita, il Natale, perchè il Natale è l’universalità della vita.
Ed è la libertà, il presepe, perchè il presepe è la libertà di ogni uomo di avere una casa dove vuole e con chi vuole.

Il Natale ed il presepe sono eterni.
Quando vennero, però, essi vennero nel tempo, perchè è nel tempo che vivono, il Natale ed il presepe.
Essi sono la vita e la libertà, ma se pure sono vita e libertà, il Natale e il presepe, essi, pure, nel tempo sono diventati anche morte e sopraffazione.
Essi sono diventati anche morte, perchè l’uomo, nel tempo, ha imparato ad alzare la mano sopra l’altro uomo, a reciderne la vita come si recide il gambo di un fiore.
E sono diventati anche sopraffazione, perchè l’umo, nel tempo, ha imparato ad usare con la mano dell’uomo l’altro uomo, proprio come si usa un oggetto senza vita.

Ma il Natale ed il presepe restano eterni.
Essi vanno nel tempo, perchè è nel tempo che essi vivono, in eterno, il Natale ed il presepe.
Essi sono e la vita e anche la morte, perchè essi sono il tempo del Natale e il tempo del presepe.
Infatti il Natale è e la vita e anche la morte, perchè il Natale è il tempo di ogni uomo che viene al mondo, nel tempo, e che, nel tempo, ogni uomo, finisce.
E anche il presepe è la vita e la morte, perchè il presepe è la casa in cui ogni uomo decide di trascorrere il tempo che trascorre nel mondo, ovunque egli viva e con chiunque egli decida di vivere.
E ovunque egli finisca il suo tempo e con chiunque decida di finirlo.

Il Natale ed il presepe, infatti, sono eterni.
Perchè ogni uomo è il Natale del suo tempo, il tempo unico di ogni uomo.
Ed anche perchè ogni uomo abita il presepe del tempo concesso ad ogni uomo.
Il Natale è eterno, perchè il Natale viene per ogni uomo, da sempre. Per sempre.
Il presepe è eterno, perchè ogni uomo abita il presepe della sua vita, da sempre. E per sempre.
E nessuno può togliere ad un uomo il suo Natale ed il suo presepe, il suo tempo e la sua casa.

I NOMADI SONO ARRIVATI

Ecco, sta accadendo, forse, proprio oggi, sotto i nostri occhi…
Abbiamo paura.
Vogliamo difenderci.
Chi ci salverà?

UN VECCHIO FOGLIO

Si direbbe che ci sia stata molta negligenza nelle misure prese per la difesa della nostra patria. Noi finora non ce ne siamo preoccupati granché e abbiamo badato al nostro lavoro; ma gli avvenimenti degli ultimi tempi sono tali da impensierirci.
Io ho una bottega di calzolaio sulla piazza davanti al palazzo imperiale. Appena apro il mio negozio o sul far del giorno, vedo che tutti gli sbocchi delle vie che conducono alla piazza sono già occupati da gente in armi. Non si tratta però dei nostri soldati, ma evidentemente di nomadi scesi dal Nord. Non riesco a capacitarmi come siano potuti avanzare fino alla capitale, che è tanto lontana dalla frontiera. Sta di fatto che sono qui e che ogni mattina il loro numero aumenta.
Conformemente ai loro gusti si accampano a cielo aperto, poiché aborrono le case. Passano il tempo ad affilare le spade, ad aguzzare le frecce’ a fare esercizi a cavallo. Questa piazza tranquilla, sempre tenuta pulita fino allo scrupolo, l’hanno ridotta una vera stalla. Noi tentiamo sì qualche volta di uscire dalle nostre botteghe per sgombrare almeno il sudiciume più indecente, ma i nostri tentativi via via si diradano, giacché si dimostrano inutili e per di più ci espongono al rischio di finire sotto le zampe dei cavalli imbizzarriti o di essere feriti dalle frustate.
Parlare con i nomadi è impossibile. Essi non conoscono la nostra lingua, e si può a mala pena dire che ne abbiano una propria. Tra loro s’intendono alla maniera delle cornacchie. Di continuo si ode questo gracidare di cornacchie. Al nostro modo di vita, alle nostre istituzioni guardano con altrettanta ottusità quanta indifferenza; conseguentemente si mostrano restii anche ad ogni forma di linguaggio per gesti: puoi slogarti le mascelle e scardinarti le mani dai polsi, macché, non ti capiscono e non ti capiranno mai. Sovente fanno smorfie, roteando il bianco degli occhi e cacciando bava dalla bocca, ma non è che con questo vogliano dire qualcosa e nemmeno spaventare; lo fanno perché è la loro natura. Quello che gli serve, se lo prendono. Non si può dire che ricorrano alla violenza: basta che mettano la mano su una cosa, e ciascuno si fa da parte e gliel’abbandona.
Anche delle mie provviste hanno fatto man bassa. Io però non posso lamentarmi, se guardo per esempio quello che succede al beccaio dirimpetto; non fa in tempo a portare la merce in negozio, che i nomadi gliel’hanno già arraffata e s’inghiottono ogni cosa. Anche i loro cavalli sono carnivori; spesso si vede un cavaliere sdraiarsi a fianco del cavallo e divorare con lui, ciascuno a un’estremità, lo stesso pezzo di carne. Il beccaio è impaurito e non osa interrompere i rifornimenti. Noi comprendiamo la situazione e facciamo collette in suo aiuto. Se i nomadi non potessero avere la carne, chissà che cosa gli salterebbe in testa di combinare; e chissà d’altra parte che cosa gli salterà in testa anche se avranno carne ogni giorno.
Qualche tempo fa il beccaio pensò che poteva almeno risparmiarsi la fatica del macellare, e una mattina portò un bue vivo. Non l’avesse mai fatto. Dovetti starmene chiuso un’ora buona in fondo al mio laboratorio, steso carponi sul pavimento, con tutti i miei vestiti, coperte e cuscini ammucchiati addosso, per non sentire i muggiti del bue, assalito da ogni parte dai nomadi che gli strappavano coi denti brandelli di carne calda. Già da un pezzo era tornato il silenzio quando mi arrischiai ad uscire: giacevano stanchi intorno ai resti del bue come bevitori intorno ad un otre.
Proprio quella volta mi sembrò di scorgere ad una finestra del palazzo l’imperatore in persona; di solito egli non viene mai negli appartamenti esterni, abita sempre in fondo al più interno dei giardini; ma quel giorno, almeno così mi parve, stava a una finestra e a capo chino guardava il movimento che riempiva la piazza davanti al suo castello.
«Che succederà?» ci domandiamo tutti; «quanto a lungo dovremo sopportare questo aggravio, questo tormento? E’ stato il palazzo imperiale ad attirare i nomadi, ma adesso non sa come fare a ricacciarli. Il portone rimane chiuso e la guardia, che prima montava e smontava con gran pompa, se ne sta dietro le finestre protette da inferriate. A noi artigiani e bottegai è affidata la salvezza della patria; ma noi non siamo pari a un simile compito, nè mai abbiamo preteso di esserlo. C’è un malinteso, e per causa sua finiremo in rovina.»

f. Kafka

 

GLI EMIGRANTI, di Edmondo De Amicis

Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.
Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!
E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire….
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.
Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.
Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.
E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.

da: Comitato fiorentino per il Risorgimento

 

 

ITALIA e MALTA, LA RAZZA DEI RICCHI. 639 MIGRANTI, LA RAZZA DEI POVERI

Migranti, Salvini a Malta: “Accolga la nave Aquarius, porti italiani chiusi”.

La replica: “Non è nostra competenza”

Messaggio alle autorità maltesi: “Il porto più sicuro è il vostro”. Se La Valletta non accetterà la nave, non sarà offerta un’alternativa in Italia. La risposta è negativa: “Il soccorso è stato coordinato da Roma”

di CARMELO LOPAPA 10 giugno 2018

ROMA. Porti italiani chiusi. È la svolta senza precedenti imposta in queste ore da Matteo Salvini. La nave Aquarius, che batte bandiera di Gibilterra, è in navigazione con 600 naufraghi a bordo provenienti dal Nordafrica. Tra poche ore transiterà per le acque di Malta. Se l’isola-Stato non accetterà di prestare soccorso, come spesso avvenuto in questi ultimi anni, ebbene i porti italiani chiuderanno i battenti e la nave (in questo momento a 40 miglia dalle coste più vicine) non verrà fatta attraccare nei porti italiani.

POLITICA

Migranti, ecco la rotta della nave Aquarius

acquarius

Lo stesso Salvini ha avvertito le autorità maltesi con una lettera: è loro il porto più sicuro e Roma non offrirà approdi alternativi.La decisione è stata adottata d’intesa dal ministro dell’Interno e da quello delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Non ha precedenti ed è destinata a suscitare non poche polemiche. Ma è il segnale che il nuovo governo Conte-Salvini-Di Maio intende lanciare all’Europa: l’Italia non può essere lasciata da sola a gestire l’emergenza.

LA RISPOSTA MALTESE
La risposta di Malta non sembra positiva. “Il governo di Malta non è né l’autorità che coordina ne ha competenza sul caso” della nave Aquarius, ha detto un portavoce del governo della Valletta citato dal quotidiano Malta Today. E ancora: “Il salvataggio degli oltre 629 migranti ora a bordo dell’Aquarius è avvenuto nella zona libica di ricerca ed è stato coordinato dal centro di soccorso a Roma. Malta non è né l’autorità che coordina ne ha competenza sul caso”.

Migranti, Salvini a Malta: "Accolga la nave Aquarius, porti italiani chiusi". La replica: "Non è nostra competenza"

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Una prima reazione era arrivata attraverso un’intervista radiofonica del premier Joseph Muscat: “Malta intende costruire buone relazioni con l’Italia, nella convinzione che gli interessi di Roma e La Valletta siano simili”. “Malta – ha proseguito – ha sempre agito in accordo con le regole internazionali sull’immigrazione e lo dimostrano fatti documentati. Per La Valletta, la priorità resta quella di salvare le vite dei migranti”.

IL BOOM DEGLI SBARCHI
Gli ultimi due giorni sono stati segnati dalla partenza di oltre mille migranti verso le coste europee. Nel primo weekend da ministro dell’Interno di Salvini, nei porti di Reggio Calabria e di Pozzallo sono state tre le navi approdate con a bordo circa 500 profughi. Nella notte altre 600 persone sono state soccorse e trasbordate sulla nave Aquarius, quella oggetto appunto dello scontro con Malta. Aquarius è l’unica ong al momento presente nel Mediterraneo: a bordo ha ora, esattamente, 629 rifugiati, tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte.
Il boom di arrivi è da collegarsi probabilmente a una nuova politica anche da parte delle autorità libiche, subito dopo la nascita del governo gialloverde. Un modo per trattare nuove condizioni con l’esecutivo di Conte.

LE CRITICHE DI SALVINI A MALTA
Nel mirino del Viminale – e alla base delle decisione di chiudere i porti – le autorità della Valletta. Malta ha un Sar – programma di assistenza e salvataggio – finanziato dall’Ue ma spesso respinge le navi con a bordo rifiugiati che si avvicinano alle sue coste. Le autorità maltesi avevano impedito l’altro ieri l’ingresso in porto della nave Seefuchs, con 126 migranti a bordo: l’unità, di una Ong olandese, era in difficoltà per le cattive condizioni del mare, ma Malta ha solo proposto assistenza in mare. Era così intervenuta la Guardia costiera italiana e la nave, alla fine, è stata fatta approdare a Pozzallo, dove è arrivata ieri mattina.

È stato l’ultimo episodio di un lungo contenzioso tra Italia e Malta, il cui comportamento è stato stigmatizzato dallo stesso Salvini l’altro giorno: La Valletta “non può sempre dire no a qualsiasi richiesta d’intervento”.

IL PRESEPE ED I RE MAGI

Ho preparato il presepe, come ogni anno, anche questa volta.
E mentre lo guardavo, con un pò di diffidenza, dico la verità, perchè le festività natalizie, con i loro riti e apparecchiature, di questi tempi, mi sembrano impegnative, ed eccessivamente consumistiche, insomma, mentre lo montavo e lo guardavo, ci pensavo e ripensavo, a questa rappresentazione tradizionale.
Passavo ripassavo, compiendo, forse involontariamente, i gesti ed i movimenti di sempre, sempre quelli, sempre gli stessi, ormai quasi antichi, composti dall’abitudine dalla circostanza…
Sempre cosi, sempre lo stesso, sempre ad un modo, là, nell’angolo, ‘apertura della scatola di cartone che durante tutto l’anno riposa in soffitta e che, l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata, ma quest’anno siamo arrivati lunghi, in ritardo, a festa già celebrata, in effetti era il 10, ieri,ormai…
La scatola di cartone, anch’essa sempre uguale, uno scatolone che ormai ha la sua età anche lei, una quindicina di anni, o più, paziente, silenziosa, là in soffitta, fino al momento di festa che, una volta all’anno, anche lei si gode – ma sempre silenziosamente – e, poi, il prelevamento dei pochi pezzi del mio presepio minimalista, spoglio, povero, quasi squallido e freddo, il posizionamento preciso sul mobile, nel salone, sempre nello stesso punto, su quella base-piattaforma che sembra una penisola in mezzo al deserto, sotto un arco squadrato formato da una colonna ed un pilastro, attaccato con l’incastro al mobile lucido, nero, libreria della sala centrale di casa, le chiacchiere sempre ironicamente sfottenti che ci lanciamo, in questo frangente di calda noia ritualizzata, noi di casa, il tentativo, ogni volta assurdo eppure sempre, come ogni volta sentito e partecipato, di dare pure un senso, pure che fosse di recupero razionale, a questa novena dal sapore dolciastro e troppo zuccheroso…
Insomma, quella celebrazione che ogni anno, in quasi tutte le case, qui intorno, si svolge con un calore sempre più sottile, consunto, sfilacciato, più un ricordo di qualcosa che è stata una volta e ormai non è quasi più, solo il ricordo sbiadito di un’emozione, di sentimenti desueti, antiquati, demodè, cose che solo negli occhi dei bambini continuano miracolosamente a fare luce, a dare una spinta, un’energia chissà come rinnovata e ritrovata…
Già, ma da me, ormai, di bambini, non ce n’è.
Quindi, la pur volontaria corvèe, si è svolta anche quest’anno, sebbene, più saggiamente, adeguatamente riformata e rivista nei suoi aspetti più fanatici ed esibizionistici, si, insomma, dall’anno scorso, l’albero è stato ridotto ad un piccolo pinetto verde, addobbato con lucine bianche, ed un filo di palline rosse, che corrono avvolgendo tutto il corpo dell’abero, coperto di puntuti aghi verdi.

Mentre montavo il presepe, mentre quella strana allegria che pure corre in casa, in questi momenti, forse perchè a fianco del filo di stanco abbandono di questa cerimonia periodica resta pur sempre una boccata di aria nostalgica che riscalda i meandri del cuore più bisognosi di un abbraccio, nelle battute un poco crudeli che si fanno in questi momenti, mi è venuta da fare una considerazione.
Che, poi, è quella che voglio condividere su questa pagina del blog, forse per desiderio di condividere con qualcun altro, ciò che mi corso per la mente, come un lampo, una corrente quasi prepotente, un poco violenta, involontaria ma necessariamente esorcistica di quelle paure che il tempo che stiamo vivendo ci mette addosso come un fardello troppo pesante…
Si, insomma, guiardavo questo strano presepe asfitticamente stilizzato. La foto, sopra, ne rende l’immagine.
Io, per solidarizzare ancora di più con lo spirito essenzialista di questa ristretta installazione, ho anche tolto il colore, e ristretto l’angolo di ripresa, e invece della camera reflex ho adoperato l’obiettivo schiacciato e povero dello smartphone…
Insomma, guardando quest’opera d’arte povera, non ho potuto fare a meno di considerare che, in senso realistico, avevo, ancora una volta realizzato la rappresentazione di una situazione molto difficile, dolorosa, complicata, la mia, quella del presepe, è la scena di una tragedia sociale, simile, uguale, a tante altre che, indifferentemente, ci contornano, ma che scanziamo ed evitiamo, come ciechi attenti ad evitare un inciampo pericoloso.

Una capanna di fortuna.
Una mangiatoia e due bestie di fortuna e riparo.
Una coppia irregolare.
Fuggitivi.
Clandestini, in terra straniera.
Ricercati dalle forze dell’ordine.
Poveri.
Nascosti.
Senza dimora.
In fuga, per evitare gli esiti di una burocratica conta razziale, pericolosa e prepotente.
Lei, giovane, forse minore d’età.
Incinta.
In stato di gravidanza molto avanzata.
Senza marito.
Forse un compagno, forse un accompagnatore pietoso.
Eppure pieni di calore, l’uno per l’altra, unico combustibile per riscaldare l’inverno della terra palestinese (per la cronaca, oggi, a Betlemme, temperature comprese fra 1 e 13° centigradi).

Per annunciare la nascita del piccolo nascituro, solo il cielo, e le stelle, e, evento siderale, una complice cometa con i suoi ritorni periodici astrali.
Un angelo, figlio, forse, più di un sogno che di una mezza verità, a vegliare sul quella capanna, stalla, dimora temporanea clandestina.
E, lontani, alcuni remoti visitatori.
Stranieri anch’essi.
Di razze remote e sconosciute.
Portatori di culture meticce.
Fedi infedeli.
Credenze pagane, ataviche, ancestrali, sprofondate nei millenni oscuri senza storia.
Pelle di colore irregolare.
Nera.
Rossa.
Olivastra.
Gialla.
Lingue, o idiomi, incomprensibili.
Usanze probabilmente barbariche.
Insomma, irrimediabilmente stranieri.
Quindi infidi, inaffidabili, pericolosi.
Gente da tenere alla larga.
Da sottoporre ad accurati controlli, visti, registrazioni, passaporti…
Eppure dannatamente fortunati.
Perchè, a differenza di tutti i re magi che arrivano oggi in Europa, sulle coste italiane, maltesi, greche, turche, spagnole, per spingersi verso i cristiani di Alemannia, Franconia, Anglia, Sassonia, quelli non hanno viaggiato su gommoni e barche di fortuna in mezzo al mare salato in tempesta, ma sulle solide zampe di robusti cammelli!

UNA GRASSA RISATA

Qualche considerazione.
Cos’altro, con questo mondo che ci gira intorno, potremmo mai avanzare, per non starcene solamente, passivamente, zitti, in silenzio, da soli?
Qualche considerazione.
Sul modo, per esempio, con cui in Spagna si fa politica oggi.
Beh, tutto sommato, meglio del franchismo di poco meno di un secolo fa.
Però, a ben vedere, mica, poi, tanto meglio.
Separatismo si, separatismo no.
Intanto i media vincono 2 a 0.
Le immagini dei manganelli, dei martelli, dei calci e delle ambulanze.
Le abbiamo viste ben bene anche noi.
E meno male che lì non ci sono scappati dei morti.
Solo molte decine di gente ferita.
Però, che che cosa si dovrebbe dire del Presidente del consiglio, capo di un governo formato, dopo due o tre elezioni infruttuose, da una coalizione mista e zoppicante che si regge con lo sputo di accordi precari, che, a sera, davanti ai microfoni del mondo intero dichiari candidamente che non è vero niente e che era tutto un imbroglio illegale?
Siamo forse tutti ubriachi?
E’ politica questa?
O cecità, alla Saramago?
Leggetelo, il libro.
“Cecità”.
E poi, il seguito “Saggio sulla lucidità”.
Profetico, Saramago.
Inquietante.
Per il futuro, molto doloroso.

La vita umana non vale più niente.
Al mercato nero, ormai, si vendono mitragliatori, fucili, coltelli, pallottole, ed ogni altro genere di death-sex-toy.
Basta che provochino l’orgia di sangue che genera l’orgasmo delle stragi.
Si ammazza più che fare l’amore.
E anche quando si cerca di fare l’amore, tira di più l’atto di violenza che quello sessuale.
Come le bestie.
I leoni, gli squali, le belve feroci.
Solo che loro lo fanno per fame.
Noi per …
Già, noi, perchè lo facciamo?
Mi sfugge.
Forse non sono stato attento.

In cosa consiste la vita?
Il suo vero valore, qual’è?
Al mercato nero, non vale più niente.
E se non ha valore, allora non è niente per cui valga la pena lottare.
A me avevano insegnato qualcosa di molto diverso.
Avevo capito che la vita è qualcosa che ci appartiene, che nessuno ce la può toccare, che è l’unica cosa per cui valga la pena non essere morti.
Per dargli valore, occorre dargli importanza, liberarsi dalla schiavitù, poi dai bisogni, poi nutrirla, e allevarla, coccolarla, e farla crescere, forte, libera, sana.
La vita consiste in ciò che viene dopo la sussistenza, dopo il bisogno, dopo la fame.
Quando possiamo investire su noi stessi il tempo e le risorse sottratte al padrone.
Che poi non è quella cattiva entità denunciata dai comunisti, ma quel mostro che è lo stato bestiale di natura che ci rende fragili, deboli, insicuri.

Avevo capito che per dare più valore alla vita era necessario lottare.
Lottare insieme con gli altri.
Perchè senza la lotta resti sempre schiavo di quel maledetto padrone.
Anche se hai due lire da parte, ma dentro, invece, ti senti povero in canna.
E lottare insieme con gli altri.
I compagni.
Che non sono, neanche loro, quelli, comunisti, che volevano marciare in corteo e sfasciare ogni cosa.
Invece, i compagni sono quelli uguali a come sei tu, quelli che hanno lo stesso problema della fame di vita.
Anche molte bestie, nella foresta, sanno che la lotta, in gruppo, riesce a sconfiggere le fiere isolate in agguato.
Noi, invece, oggi, pensiamo di essere tutti delle fiere in agguato.
E, invece, non ci accorgiamo di essere soltanto delle stupide prede isolate.
Presuntuosamente convinte della propria illusione.

Io avevo capito che le cose dovevano stare così.
Che la vita è una cosa così.
E ancora oggi, a guardare cosa capita in giro, non riesco a farmi ragione di quello che accade.
Perchè chi dovrebbe lottare in compagnia, se ne sta, invece, zitto zitto, in disparte, da solo?
Le mattanze, le stragi, i manganelli, lo sfruttamento, la povertà, la miseria, la discriminazione, il razzismo…
Non bastano a far comprendere che in solitudine si muore dimenticati da tutti?
Davvero pensiamo che l’individualismo, l’egoismo, l’arrivismo, il carrierismo, insomma la competizione spietata fra ognuno ed ogni altro in tenzoni fra cavalieri solitari, ci possano far vincere contro la famelica voracità del nostro padrone?
Si, davvero, pensate così?
Allora, siete davvero degli stupidi veri!
Stupidi che, altro, non siete!
Che vi possa seppellire per sempre una grassa risata!

PER LA MEMORIA

A cosa serve la memoria davvero?

Non sono in grado, in questa giornata speciale, dedicata alla memoria collettiva, di dare una risposta immediata alla domanda.
Lo specchio magico del mondo, l’informazione – tramite tivvù, internet e giornali – mi riflette un’immagine falsa della realtà e, al tempo stesso, di conseguenza, mi conduce ad una risposta non vera, o almeno solo parzialmente vera, più vicina al falso che al vero.
Se, mai, qualcosa di vero esistesse davvero.

La retorica delle ricordanze ci porta in casa immagini dolorose di 72 anni fa.
I campi di sterminio, la Shoah, il Male Assoluto.
La mortificazione dell’umanità.

Poi, dal fondo dei 72 anni trascorsi dalla apertura del campo di Auschwitz, tornando a guardare nell’oggi, cosa vedo?
La carneficina giornaliera di attentati e stermini, naufragi e morti per fame, guerra, schiavitù e lavoro, nel mondo e in Italia, le abbiamo dimenticate, pare, quelle.
Oggi, nei Balcani, ci sono 5 gradi sottozero circa di temperatura massima.
Fuori dalle porte dei confini sbarrati con i fili spinati, con un meteo che va da -11 a -5 mediamente, restano in attesa di un gesto di umanità, migranti e profughi scacciati ed indesiderati.
Nel mar Mediterraneo, come ogni altro giorno, come sulle spiagge e nei campi di Lampedusa e di cento altre città, marciscono centinaia e migliaia di senzanome, corpi che anche dopo morti restano di ignota identità.
Negli Usa, grassi e sovrappeso, si firmano i decreti per la costruzione di muri e imposizione di dazi doganali.

Barriere, divisioni, confini: è questa la memoria dell’oggi?

Il telegiornale, dopo le notizie di prammatica sulla memoria e le miserie del mondo, poi, scivola, come in preda ad un parkinsoniano delirio, sui pagamenti corruttivi dell’ex Cavaliere che continua a versare il riscatto della sua onorabilità perduta in un troiaio di lusso. E’, pare, la metafora perfetta di questo “oggi”, di questa memoria svagata e perduta.

Infine, ci eccitiamo anima e corpo per le imprese della nostra squadra del cuore. E, da ultras inferociti, lucidiamo le mazze per sfasciare teste e vetrine nella giornata calcistica che incombe nel weekend che ci assale.

Ormai, la sigla finale del Tiggì ci monda l’intorpidita e confusa coscienza.

Un pò smarrito mi godo un sorso di morbida grappa.

Ho dimenticato che mentre tornavo a casa, stasera alle 19,00 suonate, una povera crista mi ha chiesto “dammi un aiuto, dammi un soldo di carta, è la prima volta che mi trovo in una situazione così”.
Io le ho risposto contrito un “mi dispiace, non posso” ed ho allungato il passo per attraversare la via.

A cosa serve la memoria davvero?

MORTE DELLA DEMOCRAZIA IN USA – The death of democracy in USA

Ieri si è insediato il 45° presidente degli Stati Uniti, mr Trump. Mr. Donald Trump.
Adesso la democrazia ha qualche problema.
Prepariamoci.

I media, asserviti, dopo le minacce mai velate e negate dal miliardario Mr. President, e dopo la cruda sconfitta imprevista, ormai lumacosamente sbavano ai piedi di Capitol Hill.
Elemosinano un posto nel mercato.
Pigolano impauriti di post-verità, riscrittura della storia, nuovo corso americano.

Invece si dovrebbe evidenziare la verità, la nuova verità.
La morte della democrazia in America.
La menzogna usata come mezzo e linguaggio politico.
La violenza, per ora solo verbale, ma domani chissà, minacciata per dirimere i conflitti fra poveri e ricchi.
Il razzismo per conquistare i voti.

America first.
E chissenefotte di tutti gli altri!
Muoiano i morti di fame.
Noi, bianchi, ricchi, potenti, diventeremo più bianchi, più ricchi e più potenti di sempre.
Heil, mr billion dollar Trump!

Fa paura, la follia americana.
Fa paura perchè è la pratica dimostrazione della follia del mondo.
E’ la fine di ogni cosa avevamo pensato potesse esser chiamata democrazia.

POVERI E RICCHI

E noi, poi, ci chiediamo perchè.
Perchè, nel mondo, stanno accadendo sempre più frequentemente certe brutte cose??!!
E, con un certo stupore, con sgomento, quasi, ci chiediamo perchè , invece, non ne accadano delle altre…

Ma qui non faccio considerazioni, non faccio domande.
Qui lascio solo la risposta ai dati.

Dal rapporto OXFAM:  GRANDI DISUGUAGLIANZE CRESCONO
http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2015/01/Paper-Davos-2015_finale.pdf

La ricchezza globale è sempre più appannaggio di un gruppo elitario di ricchi individui. I dati di Credit Suisse mostrano che a partire dal 2010 l’1% più ricco di individui nel mondo ha visto crescere la propria quota di ricchezza globale totale. (come si evidenzia nella figura 1).

Figura 1: Quota di ricchezza globale posseduta rispettivamente dall’1% più ricco e dal 99% più povero. Credit Suisse, dati disponibili 2000-2014.

1

Nel 2014, l’1% più ricco della popolazione mondiale possedeva il 48% della ricchezza globale, lasciando appena il 52% da spartire tra il restante 99% di individui sul pianeta.1 La quasi totalità di quel 52% è posseduto da persone che rientrano nel 20% più ricco, lasciando quindi solo il 5,5% al restante 80% di persone. Se questa tendenza continuerà, con una crescita a favore dell’1% più ricco, in soli due anni si determinerà una situazione per cui l’1% più ricco possiederà più del totale posseduto dal restante 99% delle persone, come si evidenzia nella Figura 2, con una quota di ricchezza dell’1% più ricco che supererà il 50% entro il 2016.

Figura 2: Quota della ricchezza globale posseduta rispettivamente dall’1% più ricco e dal 99% più povero; le linee tratteggiate proiettano il trend 2010-2014. Entro il 2017, l’1% più ricco possiederà più del 50% della ricchezza globale.

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I super-ricchi appartenenti a quell’1%, gli ultramiliardari della lista Forbes,2 hanno visto le loro ricchezze accumularsi anche più velocemente in questo periodo storico. Nel 2010, le 80 persone più ricche al mondo detenevano una ricchezza netta pari a 1.300 miliardi di dollari. Nel 2014 le 80 persone in cima alla lista Forbes avevano una ricchezza complessiva di 1.900 miliardi di dollari; un aumento di 600 miliardi di dollari in soli 4 anni, ovvero il 50% in termini nominali. Se tra il 2002 e il 2010 la ricchezza totale, misurata in dollari statunitensi, della metà più povera della popolazione mondiale è cresciuta più o meno allo stesso ritmo di quella dei miliardari; lo stesso non si è verificato a partire dal 2010, quando, invece, è andata sempre più diminuendo.

Figura 3: La ricchezza delle 80 persone più ricche3 al mondo è raddoppiata4 in termini nominali tra il 2009 e il 2014, mentre la ricchezza del 50% più povero nel 2014 è inferiore a quella posseduta nel 2009.

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La ricchezza di questi 80 individui è ora la stessa di quella posseduta dal 50% più povero della popolazione globale. Questo vuol dire che 3,5 miliardi di persone spartiscono tra loro un ammontare di ricchezza equivalente a quello degli 80 super-ricchi.5 Poiché nessuno ha visto crescere la propria ricchezza allo stesso ritmo di quella degli 80 in cima alla lista, la quota di ricchezza globale posseduta da questo gruppo è aumentata e il divario tra i super-ricchi e chiunque altro si è nettamente accentuato. Di conseguenza, il numero di miliardari che hanno la
80 persone nel mondo posseggono oggi la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione. Nel
2010 erano 388. stessa ricchezza della metà più povera del pianeta si è rapidamente ridotto negli ultimi cinque anni. Nel 2010, ci volevano 388 miliardari per raggiungere un volume di ricchezza equivalente a quella della metà più povera della popolazione mondiale; nel 2014, questo numero è drasticamente sceso a soli 80 miliardari (si veda Figura 4).

Figura 4: Numero di miliardari necessari per raggiungere lo stesso volume di ricchezza posseduto dal 50% più povero della popolazione mondiale.

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Nel 2014 c’erano 1.645 persone nella lista dei miliardari di Forbes. Questo gruppo è ben lontano dall’essere rappresentativo a livello globale. Quasi il 30% (492 persone) sono cittadini statunitensi. Oltre un terzo dei miliardari era già ricco in partenza, con il 34% che ha ereditato parte o la totalità dei loro averi. Questo gruppo è soprattutto di genere maschile e di età avanzata: l’85%7 ha superato i 50 anni ed il 90% è maschio.

LISTA DEI 20 UOMINI PIU’ RICCHI SECONDO LA RIVISTA FORBES:

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TRUMP – storie di gatti e di topi

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Film: Moore in Trumpland (click here)

E’ andata così.
Ormai, si dice tanto in Tv, la storia ha vinto contro i sondaggi.
Trump è la storia, Clinton i sondaggi.
Così dicono.
Comunque, è andata così.
Senza parole, restiamo a vedere, ora, cosa succede.
Bene?
O male?
Cos’altro possiamo fare, se non restare a vedere?

Ognuno di noi ha una responsabilità.
Nelle cose della vita, intendo, della vita in cui è inserito come uomo, come cittadino, come padre, o madre, o figlio, o fratello, o amico, o semplice prossimo di qualcun altro.
Ognuno di noi, nel restare a vedere, non può restare fermo.
Restare a vedere significa, per ognuno, continuare a vivere la storia.
Nessuno può tirarsi indietro, neanche se lo volesse davvero.
Perchè la storia è fatta del sangue di noi tutti, della nostra carne, dei nostri bisogni, dei desideri e anche dei sogni.
E nessuno può impedire, a chiunque di noi, di essere sangue, o carne, o di soddisfare i nostri bisogni, oppure di avere speranza che desideri vengano esauditi ed i sogni realizzati.
Nessuno ce lo può impedire e nessuno può tirarsi indietro.
E’ questa la storia.

Il tempo che stiamo vivendo è il tempo delle solitudini solitarie.
Lo chiamano social, questo Tempo.2, il tempo delle solitudini solitarie.
Lo chiamano social perchè ad ognuno è stata data una lavagnetta bianca su cui scrivere i propri sogni.
O i desideri, i bisogni, e i nomi di ognuno, che sono, poi, invece, la carne ed il sangue di ciascuno.
Ci hanno dato queste maledette lavagnette bianche, che cantano e suonano, e ci cullano portandoci in sonno.
E cosa scriviamo, invece, su queste lavagnette?
Che siamo soli.
Ognuno è solo, e, solitario, scrive il suo messaggio in bottiglie vhe si perdono nel vuoto immenso dell”oceano social.
Qualche volta si trova un messaggio.
Ma a nessuno vin voglia di leggere davvero cosa c’è scritto su quel maledetto fastidioso messaggio.
E così, giorno dopo giorno, sera dopo sera, il tempo passa, i messaggi si accumulano come le immense isole di immondizia galleggiante che si formano si perdono in mezzo agli oceani.
Ogni messaggio porta scritto, in calce, un nome e cognome.
Ma senza carne, nè sangue, non sono altro che nomi.
Nomi perduti.
Ed ognuno di noi, perduto il suo nome, resta davvero da solo.
Da solo, senza se stesso e senza nessun altro.
Sono queste le solitudini soliarie del Tempo.2 che siamo vivendo in questo tempo perduto.

La storia delle solitudini solitarie genera mostri.
Fantasmi, paure, angosce.
La mente degli uomini soli si riempie di fantasmi, angosce, paure, terroti.
Mentre nel mondo gli orrori del mondo restano sempre gli stessi.
Donne, bambini, uomini, a cui viene rubato il destino.
Sono i poveri, i deboli, quelli che non hanno niente o nessuno.
Quelli che scappano, che fuggono, che cercano, che sperano sempre in qualcosa domani.
E quelle moltitudini metto tanta paura.
Moltitudini di fantasmi.
Moltitudini di uomini soli.
Solitudini solitarie.
Che mettono angoscia.
Perchè in mezzo a quei fantasmi che mettono tanta paura ci siamo persi anche noi.
Con le nostre angoscie, le nostre paure, le nostre angoscie solitarie e penose.

Temiamo più noi, gatti con la pancia piena, addormentati sulla porta di granai fortificati, che loro, i topi, che vengono a rubarci, tra le zampe, di nascosto, la preziosa mercanzia che abbiamo accumulato.
Siamo sazi.
Grassi.
Obesi.
Non riusciamo più a catturare quei topi affamati.
Neri, puzzolenti, fetidi, sgattaiolano tra le nostre zampe lasciandoci soltanto un senso di nausea a strozzarci la gola.
Non riusciamo a fermarli e pensiamo di costruire dei muri, chiedere porte, sbarrare finestre.
Mettere i sacchi davanti alle trincee nelle quali ci siamo rinchiusi.
Galere nelle quali moriremo asfissiati, ingozzati, infelici, perchè non abbiamo più la forza neanche di fare la guerra a quei fetidi topi.
Per questo, ormai, abbiamo imparato ad usare soltanto la voce.
Facciamo “BUM!”, perchè ieri, i topi scappavano, quando uno di noi faceva “BUM!” davvero forte, così.
E facciamo anche volare i droni, ora, senza i piloti, così, non può più accadere che un nostro pilota si sfracelli colpito da un razzo sfuggito alle difese delle fortezze volanti.
Fanno “BUM!” anche loro.
Ma fanno anche morti e rovine.
Ammazzano qualche topo e distruggono una tana.
O due.
Ma tanto, a che serve?

La Storia del mondo dei topi si scrive applicando un’altra regola della grammatica.
Ricordo ancora, dai tempi di scuola, la differenza fra i nomi comuni, scritti con la minuscola, ed i nomi propri, ai quali si deve premettere l’iniziale maiuscola.
Già, la scuola.
Sarebbe, oggi, una medicina efficace per curare la malattia della nostra solitudine solitaria e angosciosa.
E invece?
A scuola, oggi, s’insegna, ancora, quella regola della Storia Maiuscola e di quella minuscola?
Le scuole in cui si diploma il nostro mondo dei gatti non conosce più la differenza.
Anzi, credo, sinceramente, ormai si pensi seriamente che la storia sia solo quella che si scrive nel libro dei gatti.
E che la Storia, nei libri dei topi, al contrario, venga scritta con i caratteri di indecifrabili calligrafie e strane regola di rozze grammatiche.
Così, anche nei libri, noi gatti, soffriamo una malinconica solitaria solitudine angosciata.

Non credo che l’elezione di Trump riuscirà, nel tempo in cui siamo fermi in attesa, a cambiare le regole della nostra grammatica.
Forse si tratta solo di un altro gatto messo a guardia del nostro fornito granaio fortificato.
Forse, altri grassi gatti da difesa si stanno già leccando stancamente gli unti baffi cadenti, nei nostri granai, al di qua dell’oceano.
Sento ronzare i motori dei droni nelle officine delle nostre città.
E vedo innalzarsi, di giorno in giorno, muri sempre più alti, laggiù, all’orizzonte, che diventa ogni giorno più stretto. Come una cella.
Ci stiamo rinchiudendo in prigioni dorate.
Qualcuno dirà, meglio che nelle sconfinate pianure dove si muore di fame, di sete, di malattie e di guerra.
Così, abbiamo descritto la differenza fra la storia, che stiamo scrivendo di qua.
E la Storia, che stanno scrivendo di là.
La storia di grassi prigionieri sazi, rinchiusi in celle con porte e sbarre dorate.
E la Storia, di chi fugge, negli sterminati spazi del mondo, dalla morte certa e dalla miseria.

Anche i gatti erano animali selvatici, un giorno.
Fuggivano dalla miseria, dalla fame, dalla crudele caccia dei cani.
Scrivevano nobili libri di Storia.
In quei libri erano narrate le eroiche gesta della conquista del mondo.
Un mondo dove la libertà, l’uguaglianza ed il progresso dovevano rendere felici tutte le creature che nascevano eguali da Madre Natura.
Ormai, quei libri son perduti nella memoria del popolo dei sazi gatti guardiani sulle porte delle fortezze-granaio.
Schiavi obbedienti al padrone che gli riempie ogni giorno la pancia.
Solo qualche randagio, forse, perduto tra i fantasmi del mondo, ancora ne ricorda l’esistenza.
Seppure nel dubbio.

Noi, possiamo solo raccontare la Storia

IL REFERENDUM – p. II

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L’ITALIA

Era importante,dare l’idea di ciò che ci accade intorno, nel mondo, prima di parlare del nostro referendum nazionale del 4 dicembre.
Non siamo su un’isola, ma in un arcipelago, in un grande arcipelago.
E quindi, dobbiamo cercare di capire dove ci troviamo.
In una bella confusione, a dire il vero.
Ma questa è la verità, che possiamo farci?

Per parlare del referendum, dobbiamo parlare dell’Italia.
Perchè la cosidetta riforma che andremo a votare è frutto, figlia, della realtà e della situazione del nostro Paese.
Vogliamo fare un breve riepilogo un pò più ampio del corto respiro della stampa e delle tivvù?
Si soffoca, nell’ignoranza, nel buio, nella mancanza di memoria.

Allora, ricordiamo.
L’Italia in crisi profonda, politica, economica, morale.
Il berlusconismo, con i suoi ministri burletta, nani e ballerine al potere.
Oltre le … Olgettine.
I sorrisetti di Merkel e Sarkozy, che, comunque, adesso, non se la passano poi tanto bene.
I sacrifici a senso unico del governo dei tecnici-commissari.
I leghisti, un pò razzisti, un pò paraventi.
La sinistra scissionista.
La destra demolita dagli scandali, dalle ruberie, dalle leggi ad personam, dall’incapacità di dare un modello economico, politico e morale all’Italia.
Il partito democratico, nelle sue varie declinazioni, inabile e sfaticato, propenso più a farsi lo sgambetto da solo che a dare un indirizzo alla Nazione.
Tangenti, dazioni, scambi clientelari.
Le preferenze no (un refenrendum popolare le abolì con l’80 per cento circa dei si).
Le preferenze si (le chiedono i grillini, soprattutto).
Il Parlamento che vota per Ruby Rubacuori nipote di Mubarak, a maggioranza dei assoluto dei presenti.
Il Parlamento, quello eletto subito dopo, incapace di eleggere il Presidente della Repubblica.
Il Parlamento preso a schiaffi dal neoelettorinnovato Napolitano.
Il Parlamento che appalude le rampogne severe del vecchionuovo Presidente Napolitano.
Governi, ormai, ai quali ci siamo assuefatti, governi incolore, di coalizione contronatura, incestuosa.
Governi licenziati come cameriere e governi che spadroneggiano come bulli di quartiere.
Questa è la situazione politica, in Italia.
Ma anche nel resto del mondo, come abbiamo visto, non va mica tanto bene, poi.

E il popolo che fa?
Arride alla democrazia elettronica.
Più di metà del popolo non si connette ad internet neanche una volta aalla settimana, ma tanto che fa? Votano lo stesso per il comico tanto simpatico.
Che a me non sta neanche tanto simpatico, dato che strilla come un ossesso, sempre, da sempre.
Si è fatto famoso con la tivvù di Stato, ma lui, di quella tivvù, ora fa il fustigatore.
Da trent’anni sta lì, sulla scena, con lo stesso spettacolo (provare su youtube per credere), ma passa per il nuovo che avanza.
Già, e intanto, il popolo che fa?
Continua a giocare alla caccia alla volpe, dove la volpe è quella che tenta di scappare per non pagare le tasse ed i nobili a cavallo fanno finta di darle la caccia senza sparare, solo per farsi voler bene.
Tutti possono fare la parte della volpe.
E tutti possono fare la parte del nobile a cavallo.
Si ruba in ogni appalto, si frega in ogni banca, si truffa in ogni tornello.
Le leggi sono fatte contro il popolo e il popolo si beffa delle leggi.
I carabinieri vanno a acavallo mentre Equitalia che faceva pagare le tasse viene abolita perchè faceva pagare le tasse.
E adesso?

I signori della politica si sono divisi fra il SI ed il NO.
Il SI ed il NO, ma per che cosa?
Per la riforma, il referendum, il futuro della Nazione?
A me sembra che si siano divisi soprattutto fra chi detiene il potere e chi, avendo perso il potere, vorrebbe detenere un’altra volta il potere.
Sul fronte del SI ci stanno solamente quelli che hanno preso il comando da poco.
Sul fronte del NO ci stanno tutti gli altri che hanno perso il comando da poco.
Sul fronte del SI si sono messi gli americani, i banchieri, le società di rating internazionale e gli euroburocrati di Bruxelles.
Sul fronte del NO si sono incatenati tutti quelli che voglio o continuare a mungere il latte della vacca.
Noi siamo la vacca.
In tanti si voglio attaccare alle nostre mammelle.
Tutti parassiti.
Non faccio i nomi, per decoro, ma ognuno se li può declamare, come i santini la sera.
E’ davvero un pò triste, ma la situazione descritta mi pare proprio quella che abbiamo di fronte.

Ed io che farò?
Oh, bella, strana domanda.
Escludo di astenermi.
Perchè sarebbe come mettere il didietro a disposizione, indifferentemente, di chiunque ne volesse approfittare.
Devo decidere da che parte stare.
O per il SI, o per il NO.
Cosa succede si perdono quelli per il SI?
Sicuramente quelli per il NO riprendono forza e vigore.
Già si vedono nani, ballerine, olgettine, grilli parlanti, radicalchic dalle belle parole, leghisti razzisti, fascisti un pò neo un pò post, accumulatori vari di cariche e incarichi, tecnici di belle speranze e tristi passati… stanno fregandosi ben bene le mani.
Un filo di bava alla bocca.

E se perdono quelli del NO?
Chissà.
Forse un ventennio renziano?
Un trentennio?
Mah, non saprei.
Ma metto in fila un qualche altro referendum ipotetico.
Renzi contro Trump.
Renzi contro Hollande.
Renzi contro Cameron, Blair, May.
Renzi contro Farage, Salvini e Grillo.
Renzi contro Tusk, Orban e Erdogan.
Renzi contro Putin.
Renzi contro Merkel (dai, questa, dopotutto, è un pò più difficile).

In Belgio sono stati qualche anno senza governo, hanno risanato il debito pubblico e dato una spinta alla ripresa del PIL.
Anche in Spagna, sono riusciti a starsene un anno tranquilli, con lo spread migliore che in Italia, il PIL al + 4% e il deficit pubblico libero di andarsene a spasso senza che a Bruxelles se ne avessero a male.
E se anche da noi si provasse a starcene un poco senza governo?
Un bel commissario straordinario.
Solo per l’ordinaria amministrazione.
In fondo non nuoce a nessuno, come Tronca, il commissario straprdinario del Comune di Roma.
Ma l’avete vista la nuova Sindaca vittima del complotto dei frigoriferi che hanno votato per fare vincere i grillini e fargli fare brutta figura?

La situazione, in Italia, è grave, ma non è seria, diceva Ennio Flaiano.
Ed aveva pienamente ragione!

NOBEL – BOB DYLAN

Molti si sono dedicati a commentare il Nobel dato a Bob Dylan, in questi giorni, esprimendo entusiasmi o critiche per la scelta dell’Accademia.
Come se il premio a Robert Allen Zimmerman fosse una scelta come le altre.
Non un letterato, non un accademico, non un romanziere o un poeta cattedratico o estemporaneo.
Io leggo, nella scelta di questo premio, un segno diverso.
Un segnale di allarme, un grido di attenzione nei confronti del mondo contemporaneo, della deriva di indifferenza verso ogni valore, del cinismo con cui, il mondo, sta dimenticando i disperati, le vittime, i derelitti.
Non si tratta di poesia, qui, non solo, almeno.
Si tratta del muto silenzio con cui si finge di non vedere il modo con cui i sazi voltano la testa e storcono il naso nei confronti della puzza della fame, della povertà, della morte.
Penso agli Stati Uniti che stanno lottando, non per scegliere il miglio presidente di sempre, ma per non consegnare la valigetta della fine dell’umanità nelle mani di un essere arrogante e cinico, di un individuo che, solitario ed egoista, ritiene di poter costruirsi il mondo a propria immagine e somiglianza.
Un mondo dove chi soffre, chi fugge, chi lotta per avere un presente, o un magro futuro, non dia più fastidio, non mostri i suoi occhi sofferenti, le sue mani tese, i suoi pugni chiusi.
Promette muri per rinchiudere il mondo dorato dei ricchi, come un nuovo giardino dell’Eden, in un recinto che respinga le greggi miserevoli.
Muri si costruiscono, ancora, oggi, ai nostri confini.
Muri, come cicatrici sanguinanti, chilometri e chilometri di cavalli di frisia per respingere chi chiede qualcosa.
Muri, sulla Terra, dove la natura non ha costruito confini, ma solo cammini.
Muri, invece che ponti.
Muri per nascondere le differenze, non per annullarle.

Il Nobel di Bob Dylan è un richiamo.
Una scossa, un sussulto, un brivido.
Di Bob Dylan non ricordo le canzoni, pure meravigliosamente poetiche.
Non la voce strascicata di chi non concede spazio all’estetismo esteriore.
Non le parole, le frasi, le strofe, metafore di un mondo aperto, libero, sconfinato.
Ricordo, invece, le immagini di una delle apparizioni più significative di un volto giovanile, di una voce, ed una chitarra, dinanzi ad una folla immensa di anime perse, derelitte, senza nomi e senza diritti.
Ma era una folla che pretendeva un futuro.
Una folla che si univa, compatta, intorno ai suoi leader, per prendersi un lembo di terra nella patria dei diritti che li aveva relegati nella segregazione nella schiavitù.
Un volto quasi spaurito.
Una voce.
Fievole, flebile, debole.
Eppure immensamente potente.
Come quella massa di uomini neri che pretendevano i propri diritti.
Era quella la voce, di Bob, che regalava dolcezza, sicurezza, forza e speranza.
La voce di un giovane uomo.
E di una donna, Joan, Baez, al suo fianco.
Adamo con la sua Eva, dinanzi alla folla di angeli nel paradiso terrestre.

Quella voce, e quella folla, richiamano alla mente altre voci ed altre folle.
Un0’intera generazione di angeli e demoni.
Alcuni, sopravvissuti fino a noi, oggi, continuano a sognare e a cantare.
Altri, invece, sono volati via.
Anche le folle, nelle strade, e nelle piazze, si sono poco a poco dissolte.
Scolorite le bandiere.
Spente le voci.
Perse le speranze.
Oggi, moltitudini di solitarie anime perse si aggirano per le strade e le piazze.
Protestando, urlando, imprecando.
Eppure, rassegnate, disperate, sconfitte.
Non pretendono più.
Non si prendono più ciò che gli spetta.
Aspettano, chiedono, implorano.
Inermi, sanguinanti, disfatte.
Anime perse, solitari fantasmi.
Che come le greggi mansuete non conoscono la forza di cui sarebbero dotate, se solo sapessero unire gli sforzi.
E nessuno, per loro, canta più canzoni di lotta.
Nessuna voce li spinge.
Solo strilli, pianti, disperate urla strazianti.
Questo, ci ricorda il Nobel di Bob.

** Il testo della canzone cantata da Dylan alla marcia su Washington di Martin Luther King è il seguente:

QUANDO LA NAVE ARRIVERÀ

Verrà il tempo
Quando i venti si fermeranno
E la brezza cesserà di spirare.
Come la quiete nel vento
Prima che l’uragano cominci,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Ed i mari si divideranno
E le navi si scontreranno
E le sabbie sulla riva tremeranno.
Poi la marea risuonerà
E le onde scrosceranno
Ed il mattino comincerà a sorgere.

I pesci rideranno
Nuotando fuori dal loro corso
Ed i gabbiani tutti sorrideranno
E le rocce sulla sabbia
Si ergeranno fiere,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

E le parole che sono state usate
Per confondere la nave
Non saranno capite mentre verranno dette
Perché le catene del mare
Saranno spezzate nella notte
E saranno sepolte nel profondo dell’oceano.

Una canzone si innalzerà
Mentre la vela maestra scenderà
E la barca scivolerà verso la spiaggia.
Ed il sole rispetterà
Ogni faccia sul ponte,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Poi le sabbie srotoleranno
Un tappeto d’oro
Perchè i vostri stanchi piedi
possano toccarlo
Ed i saggi della nave
Ancora una volta vi ricorderanno
Che il mondo intero sta guardando.

Oh i nemici si alzeranno
Con il sonno ancora negli occhi
E dai letti si scuoteranno
e penseranno di stare sognando.
Ma si pizzicheranno e grideranno
E sapranno che è vero,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Allora alzeranno le mani
Dicendo “faremo ciò che volete”,
ma noi dalla prua grideremo
“i vostri giorni sono contati”.
E come il popolo del Faraone,
saranno sommersi dalla marea,
e come Golia saranno vinti.

MACERIE

E’ un post triste, stasera, muto, di dolore.
Ognuno di noi, nel cuore rifletta.
C’è qualcosa che, nel tempo, si riproduce sempre uguale, il male terribile.
E noi ce lo raffiguriamo, o crediamo di poterlo fare, con le immagini più shoccanti, convinti, o speranzosi, che la pietà smuova il mondo e sconfigga il male.
La sequenza di foto che segue non esaurisce la serie di immagini shoccanti della morte sulla faccia dei bambini.
Ma la testimonia, forse, io spero, significativamente.
Eppure, non c’è fine a questa catena del male.
Oggi.
Ieri.
L’altro ieri.
Una guerra fa.
O due.
Non c’è fine!

Uno dei bimbi annegati oggi (cliccare sul link per la foto).

 

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PROFUGHI SIRIANI
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AFGHANISTAN
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VIETNAM
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HIROSHIMA

 

E questo racconto, che descrive meglio di tante parole, la storia del dolore che si rinnova, viaggia con il sangue, entra nella catena del DNA di chi sopravvive e produce la malattia.

IL MURO

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Cliccare sulla foto, oppure qui:  Nostra signora delle macerie, Banksy (thans!), Gaza

Un muro.
Mi sto costruendo un muro anche io.
Ormai, senza un muro, non si può più neanche vivere.

Ma avete visto, tutto intorno?
Dove?
Ma come?
Dove.
Dappertutto?
E cosa?
Come, cosa?

Un muro.
Un muro, dobbiamo costruirci tutti dei muri.
Ognuno.
Per viverci in mezzo, dietro.
Al riparo.
Difesi.
Protetti.

Io me lo sto già costruendo.

Ma cosa?
E dove?
Per cosa?

Un muro.
Da qui.
A lì.
Un muro.
Un muro.
Di mattoni e di malta.
Un muro.
Alto, massiccio.
Con le punte di vetro spezzato, su in cima.
E il filo spinato.
Tutt’attorno.
Per stare al sicuro.

E per cosa?

Un muro.
Molto alto.
Robusto.
Per la difesa.
Senza fessure.
Senza aperture.
Senza porte e finestre.

Una cella, quindi.
Una clausura.
Anzi, di più.
Senz’aria.
Una gabbia.
Un sarcofago.
Una bara in muratura.
Una tomba.

Siamo, allora, già tutti morti?