AFRICA

GUERRIERO MASAI
da: http://scientiantiquitatis.blogspot.it/2012/01/africa-popoli-masai-kenya-tanzania.html

M’interrogo a fondo:

cosa è, dunque, la vita ?

Che cos’è l’esistenza?

Queste fiamme quaggiù,

la pioggia del pianto,

la noia, triste foschia?

Il sole alto e severo,

o quel gelo invernale

che preme sul cuore?

Il vento all’orecchio

mi porta i suoi guizzi,

geme la terra, fremendo.

Di lontano, risponde,

eco d’eterno, il silenzio,

fresca, quieta, certezza.

Un Masai, sotto le stelle,

muto, ascolta il racconto

della  nuda volta del cielo.

ESTATE

photo by pierperrone da: STANCHEZZE

Un fiacco vento, caldo e umido, appesantito di polvere e sole, scortica le strade, in questi lenti giorni d’estate.

La luce sembra farsi densa, come un fiume che scorre tra le pareti dei palazzi solitari.

Quei palazzi, ai lati delle strade mute e inutilmente distese, non si parlano più, in questi giorno d’estate, se ne stanno chiusi, anch’essi muti, indispettiti, nascosti dietro porte e finestre che sbarrano lo sguardo accecando i passanti solitari.

Non hanno più vita, quei giganti squadrati che mostrano al cielo i fianchi dalla pelle rugosa e giallastra.

Sono come relitti abbandonati, vomitati dalle maree del tempo sui bagnasciuga che si seccano ai lati dei viali.

Restano integri ed intatti, ma senza vita, come paralizzati dal bagliore di questa luce che si spalma sulle pareti, lisce e diritte, che s’incastrano nell’infisso del cielo d’alluminio, serrato e stretto come il pugno di un dio collerico che scaglia da lontano la vampa vulcanica che deve ardere il mondo.

Il silenzio avvolge le cose come un sudario.

E’ una lastra levigata, grigia e lucida, come quelle che stanno appese sulle pareti degli obitori e che combattono, eroiche e nude, la battaglia ineluttabile contro la contaminazione e la malattia, la morte e la putredine.

L’aria è come un boccone che si blocca nelle gole dei viali.

L’asfissìa soffoca gli alberi che non possono fuggire, imprigionati dal loro destino di lavoratori della strada, sottomessi in eterno alla pioggia di fuoco delle ore dei giorni assolati dell’estate.

Lontano, come un gemito, come il pianto distante di un bambino, si ode il fremito di una fontanella, come il mormorio di un rosario che le bocche dei santi di freddo marmo bianco recitano in una chiesa vuota.

Le navate sono imbottite d’umida afa sudata.

Dalle pareti consumate trasuda, goccia a goccia, lentamente, il distillato del tempo che scorre, le celebrazioni, i riti, le orazioni.

Le ore, i giorni, gli anni.

I secoli.

L’eterno.

E così, anche l’ombra, pesante e livida, si fa rovente e grigia, dura come una cappa di piombo fuso che penetra fin nell’anima del tabernacolo

Quella marea bollente cola dai merletti delle bifore e dai rosoni che si aprono come bocche affamate al centro delle ripide mura scoscese.

L’intero spazio, nella casa del dio, viene conquistato, a mano a mano.

Con il passare delle ore, il dio resta solo, immerso nella caligine irrespirabile del pomeriggio, nell’oscurità, al buio, nell’oblìo.

Tutto, infine, viene sommerso.

photo by pierperrone da: ACID FORMS

Il fiacco vento, caldo e umido, scortica lentamente le strade, in queste interminabili giornate d’estate, le leviga, consuma la lingua nera d’asfalto come la sete di un deserto, accarezza i neri sassi basaltici, strappati come carne viva dai fianchi di antiche montagne che hanno conosciuto i palpiti del vivo fuoco e della vivida lava, li graffia, senza alcuna intenzione, quasi dimentico e distratto, pellegrino di questo mondo immobile che sembra un presepe fuori stagione.

Stormisce qualche fronda, lungo il limitare del fiume che sta acquattato sotto il livello delle strade, in agguato, pronto a catturare le sue prede ghermendole dal tombino che si apre sotto la strada, in un vico solitario, in penombra.

Frinisce una cicala, che ha perso l’orientamento.

Respira affannosa, la città, che se ne resta distesa, disfatta, arsa.

Le tenaglie roventi degli inquisitori della verità dell’estate le marchiano le carni, la straziano, la seviziano: vogliono strapparle i reconditi segreti nascosti negli accessi interdetti.

Sembrano budelli le vie, che si perdono dietro angoli che nessun’ombra riesce ad alleviare.

Portano in quei recessi che gli aguzzini non possono calpestare: hanno poca fantasia e non hanno occhi.

Non sanno vedere quello che chiunque – se ci fosse un chiunque a percorrere queste strade, nei giorni solitari d’estate – potrebbe vedere,.

Non sanno sciogliere, in questa infinita e  solitaria giornata d’estate, gli inestricabili nodi delle traverse che, di soppiatto, sgusciano via, tra angoli stretti e piccoli slarghi nascosti.

La massa infuocata della luce assorbe in una nube fosforica le cose reali e i fantasmi dei sogni.

In quest’abbagliante nebbia numinosa, nel livore accecante della marea di luce, si tengono compagnia i mostri della solitudine dei giorni d’estate e quelli della semincoscienza delle ore notturne, bagnate di sudore e di tremolanti timori.

Tutt’intorno si levano forme baluginanti di evanescente vapore stradale e di neri incubi notturni.

Terrori urbani di strade solitarie e di vampiri assetati di sangue.

Creature che la coscienza dei sogni rende materiali fintanto che resta sospesa la spessa coltre della notte, velo pietoso  che nasconde l’immaginaria realtà quotidiana.

Estivi bagliori e notturne oscurità.

Mostri ed assassini.

Crudeli creature furtive, che scivolano via di nascosto, attente a non fare rumore.

Alla fine resta solo una scia, una traccia, che si protende sulla via, che si allunga di fianco,  da un lato.

Poi, piomba con un tonfo nell’abisso.

L’eco distante si leva dal baratro.

Basta seguire quella scia, con puntigliosa attenzione.

Non occorre neppure il fioco sostegno di una lucerna.

In questo biancore solare di un pomeriggio d’estate, non resta neanche un raggio di luce.

Basta fermarsi, voltarsi, guardare.

L’angolo svolta.

Nessun’ombra l’accoglie.

La lingua di luce s’avvolge, mi afferra, mi stringe alla gola.

Una gelida mano mi spinge nel vortice, giù, nel gorgo abbagliante.

E’ lei, l’estate, che annega il pomeriggio di luce.

Fuori, il lamento della fontana si spegne, mentre si allunga il mio passo.

Il madido vento, intanto, calmo, mi segue...

SYRIA

RAINEWS.IT – 23/9/2011. Damasco. Il corpo di Zainab al-Hosni, una ragazza siriana di 18 anni è stato trovato decapitato, mutilato delle braccia, e senza pelle dai suoi parenti a Homs, una delle citta’ nel centro della Siria prese di mira dall’esercito di Damasco durante le proteste contro il regime di Bashar al-Assad.

Syria è andata.

Si è chiusa le porte alle spalle ed ha socchiuso i suoi occhi d’oro.

La polvere della strada le ha impolverato i sandali mentre un lembo della lunga tunica nera si opponeva a quella repentina partenza aggrappandosi ad un cespuglio cresciuto chissà come sull’arida strada.

Chissà perchè non voleva partire, andarsene, lasciarsi dietro tutto quel dolore.

L’oro degli occhi di Syria era opaco, non luccicava, era spento.

Sprofondati in chissà quale mondo, ora, quegli occhi spauriti, all’alba di quell’oscuro giorno senza sole, l’avevano marchiata per sempre.

 La casa era come tante, in quella povera città senza nome, ai bordi, sospesa fra l’ultimo lembo verde dei campi e i primi aridi segni del deserto.

Una casa abitata da formiche, febbrili, obbedienti, operose, infaticabili, disperate.

Il pozzo, in un angolo, in fondo al cortile, era quasi secco, da mesi, e sputava solo qualche secchio d’acqua malarica che a stento riusciva a tenere in vita le bestie magre nella stalla.

Qualche pecora, un paio di capre, una mucca, due cani.

Due magri muli testardi, unici mezzi da soma e da trasporto.

La fatica di vivere era stampata sui corpi smunti di quelle povere bestie.

Gli uomini erano nei campi, lontano, legna messa a cuocere nel forno della calura che incendiava il giorno.

Erano partiti che ancora la notta non si era alzata le sottane.

Stanchi, come morti che s’avanzavano in cerca di un ultimo riparo, accudivano alle fatiche dei campi più per dovere, per abitudine, che per l’effettiva necessità dei raccolti.

Secche stoppie, arse, sterili steli, mala erba, serpenti, scorpioni, mosche e sudore che s’impastava alla polvere, erano l’unica ricchezza di quella terra.

I piedi morsi dai sassi.

Le mani ròse dalla terra assetata.

Syria passava i suoi giorni da sola.

Parlava alla piccola bambola di stoffa che invecchiava sul magro lettino e, piano, le raccontava i suoi immaginari segreti d’amore.

Parlava ai piatti di terracotta sbeccati e ai vecchi bicchieri opachi come i suoi occhi.

Parlava al vento, al sole, agli steli dei fiori che restavano infissi nella secca striscia di terra che univa la casa all’estremità appiccicosa del deserto di sabbia che si affacciava curiosa sulla vita di quella povera bimba già vecchia.

Quella mattina il vento le aveva portato una storia.

Lamenti, urla, disperati pianti e nenie di morte, le portava quel soffio che arrivava da terre lontane.

Lampi di spade, fiumi di sangue, innocenze violate.

Il re aveva mandato i suoi soldati a riscuotere un pingue bottino di sangue.

Era assetato.

E a quella fonte aveva deciso di spegnere la sua sete insaziabile.

Volubile e imprevedibile, il suo appetito scatenava improvviso i morsi delle lame che recidevano fiori innocenti, lasciandosi dietro solo sanguinanti steli a marcire e disperate madri violate, ad implorare su di sè il colpo finale.

Il vento impietoso, inclemente, quella mattina portava lo scirocco di sangue nelle orecchie di Syria e il peso del dolore gravava tutto intero sul cuore di giovane bimba già vecchia, nata senza diritto alla felicità.

Il vento non conosce misericordia, carità o compassione.

Come le cose del mondo, il sole, la luna, l’aria sottile, indifferenti, assistono ai destini degli uomini, così come quel vento, che a Syria racconta una storia dolente.

Non piange, il vento della terra promessa.

Non si ferma.

Sussurra, senza guardare, come si spengono gli occhi dorati, come si fanno duri di pietra, come si spezza il cuore di una bimba che vive da sola.

La voce del vento parla di madri e di padri e di figli sgozzati.

Il fiume di sangue che scorre arrossa il fondo del pozzo poco lontano.

Il secchio grondante è ancora riposto sul secco muretto di sassi.

Una brocca, sul tavolo, ricolma, s’aggruma pian piano.

Gli occhi d’oro di Syria si guardano intorno spauriti.

Il vento piano l’avvolge, l’abbraccia, la stringe.

Annega, la bimba, tra le spire di quel serpe che le penetra in cuore e le spegne il respiro.

Gli occhi si seccano, come il pozzo d’estate.

Il sangue si ferma, mentre il vento le narra di strazi e di morte.

La sete del re non s’appaga, anzi, vorace, golosa, s’avvampa, incarognita, ad ogni sorso succhiato dal calice colmo di sangue.

Il vento s’accosta ai piccoli seni, a quel ventre nascosto, mentre la sete del re raggiunge lo stremo e si strugge, la belva sul trono, stringendo l’inutile scettro, che, ad un tratto, improvviso, cade a terra spezzato.

Il re si raggela.

Il terrore lo avvinghia, lo scuote, lo svuota, lo sbatte, lo annienta.

Un re è povera cosa, nella terra promessa.

Il vento racconta la storia che ha visto per strada, che ha spiato, entrando dalle finestre, di sbieco, sbilenche, del palazzo reale.

Il vento è un soffio che sibila alle orecchie di bimba che vorrebbe aver mani per fermare tutto il terribile strazio che sale dal pozzo che s’empie di sangue.

La terra tutta s’imbeve di quello stazio tremendo.

Il vento, prepotente, s’impossessa del vestito di Syria e se lo porta lontano, insanguinato trofeo d’amore.

La bimba, da sola, resta a terra, stesa, tremante.

Poi, solo il silenzio, lento, estenuante, s’insinua sulla terra promessa, invade le case e, infine, inesorabile, festeggia la conquista del campo sconfitto.

Syria, innocente, si volta piano, estenuata.

Di piombo s’è fatto lo sguardo che d’oro era al mattino.

Non c’è, adesso, un’ora del giorno che rintocchi per dare misura di tanto dolore.

S’è sospeso anche il tempo, sotto il sudario del silenzio penoso.

La bimba, attorno, ora cerca un segno, un ricordo, un flebile appiglio.

Nello specchio sul muro, il suo volto è d’un mostro dagli occhi sbarrati.

Piene, le orbite, d’un vuoto sgomento.

Piombo.

Oro rappreso, marcito.

A tentoni s’avanza nel buio silenzio.

La casa è un vorticoso aleggiare, fantasmi, rumori, sinistre presenze.

Demonio, l’angelo s’è fatto, in quella danza del vento.

I morti urlano, invocano, implorano la pietà che il re non conosce.

Crudele, il destino del re si compie, morendo di sete insaziabile.

Le insegne spezzate.

Lo scettro caduto.

Il tonfo s’ode per tutta la terra promessa.

Con l’ultimo rantolo il vento s’allontana, furtivo, com’era arrivato.

Syria si alza, prende la porta, e va.

Deve andare.

Seguire il vento che va.

E raccontare la storia, a quelli che incontra, dei morti innocenti, del re, del vento che parla.

Il suo nome di stella, Syria, ha mutato il tempo che scorre piatto sul fiume.

Syria.

Il frutto del vento, ora, innocente, la bimba si porta seminato nel ventre.

La sua storia.

La storia che il sussurro feroce del vento narrava avvincendo la povera bimba innocente.

La storia che narra della strage degli innocenti nell’arida terra promessa.

CORSA SULLA SPIAGGIA

Pablo PICASSO - Due donne che corrono sulla spiaggia (1922)

Il motore perpetuo del vento

sospinge l’instancabile vela

che in eterno il mare attraversa.

Sospira nel cielo nero di nafta,

affaccendato e stanco il fuochista.

E intanto ravviva la fiamma al motore.


“Portami, Poesia,

fedele Compagna,

il baùle.

Lo svuoto, così,

delle inutili cose”.


Parto, domani. Saluto, addìo !

Caro Amore. Madre. E tu, Terra mia.

Voi, pazienti, attendetemi al molo !

Presto la vela sarà volta alla poppa

e, allora, a festa !,  suonate, campane.

E’ tornato ! Trabocca, ricco il forzier !


Avranno salutato con questi sentimenti nel cuore, quando sono partiti.

Ma non torneranno.

Perciò, questa pagina è per loro:

“33 GENNAIO 2011. Almeno 40 migranti africani sono morti annegati e circa altrettanti risultano dispersi dopo che due vecchi barconi con cui stavano tentando di raggiungere lo Yemen si sono rovesciati proprio davanti alle coste yemenite, a causa dei forti venti e di ”un’onda anomala”. Lo ha reso noto con un comunicato il ministero degli interni yemenita, secondo cui una delle imbarcazioni trasportava ”46 persone, in gran parte etiopi, e si e’ capovolta vicino alla costa, nella provincia di Taez. Tutte le persone a bordo, ad eccezione di tre somali, sono annegate” (continua a leggere …).