LE STRADE

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LE STRADE
Le strade di Buenos Aires
ormai sono le mie viscere.
Non le avide strade,
scomode di folla e di strapazzo,
ma le strade indolenti del quartiere,
quasi invisibili poiché abituali,
intenerite di penombra di crepuscolo
e quelle più fuori mano
libere di alberi pietosi
dove austere casette appena si avventurano,
schiacciate da immortali distanze,
a perdersi nella profonda visione
di cielo e di pianura.
Sono per il solitario una promessa
perché migliaia di anime singole le popolano,
uniche davanti a Dio e nel tempo
e senza dubbio preziose.
Verso l’Ovest, il Nord e il Sud
si sono distese – e sono anche la patria – le strade:
Dio voglia che nei versi che traccio
ci siano quelle bandiere
(Jorge Luis Borges)

A me, pensavo, è sempre piaciuto fare fotografie, andando in giro.
Non sempre, però, mi è piaciuto scattare foto di strade affollate, di persone che si incrociano, si spingono, distratte, ognuna interessata ai suoi affari che chissà chi conoscerà mai…
Spesso, le foto che ho scattato, andando per città, luoghi, siti storici, monumenti, dentro musei o in chiese avvolte nella penombra, sono foto in cui la presenza degli uomini era esclusa, volutamente, studiatamente.
Angoli di palazzi, finestre, balconi, viuzze, stradoni, banchi per la preghiera, pietre antiche, piazze, e chissà quali altri dettagli ancora, spesso ho cercato di riprenderli nella loro intima natura, nella loro essenza persa nel tempo, per quello che sanno presentarsi dinanzi ai miei occhi nudi dei fronzoli contemporanei.
Forse, potrei dire che mi piace fotografare questo o quest’altro aspetto della vita come si presenta al naturale, nella sua solitudine.

Altre volte, invece, ho scattato foto a persone vive, ritraendo i sorrisi, le smorfie, i movimenti, i passi, i salti, i gesti involontari.
E mi sono sempre meravigliato, perchè c’è una bellezza calda, in queste foto così movimentate.
In genere, credo, foto così mi sono venute quando i luoghi in cui mi sono trovato li sentivo pieni di vita, mandavano onde, vibravano di qualcosa.
Non so spiegarlo, ovviamente.
Nè, io, sono un fotografo professionista, uno che studia l’inquadratura e pensa che debba essere così… o così…
In genere, credo, i luoghi che mi ispirano il senso del tempo andato, il passato, la memoria, quello che è eterno, cerco di riprenderlo senza tracce che possano inquinare quella purezza, distillata sotraendo ogni elemento di movimento.
Mentre, invece, ci sono situazioni, posti che brulicano di una vitalità intraprendente, di qualcosa che si deve rubare al volo, perchè può sfuggire e non ritornare mai più.
Una foto, per me, forse, è questo, un tentativo di fermare nello scatto qualcosa.
L’eternità.
Oppure l’attimo infinitesimale.

Oggi ho ripreso questo libro, quello da cui ho tratto la poesia che è in cima, lassù.
Le opere di Borges, volune 1, Meridiano Mondadori.
Un libro che ha già diversi anni.
Prezioso, diciamo, per i suoi contenuti.
Poesie, romanzi, alcuni racconti.
Borges è un autore profondo, che ha saputo fotografare l’eterno, ed anche l’attimo.
E’ questo che, forse, che mi piace di lui, più di tutto.
Questa profondità così piena, questa nitidezza di immagine.
Questa capacità di cogliere il vicino oppure il lontano, senza perdersi, anzi, creando dal profondo della sua arte luoghi e spazi che appartengono assolutamente al tempo, e al tempo stesso lo sfuggono del tutto.
Ci sono romanzi, racconti, descrizioni, memorie, poesie, frasi scavate da Borges nel marmo, come fossero di pietra morbida, docile, soffice come le parole, parole che l’autore sapeva scolpire con i colori ed il soffio della vita.

Questa poesia è piccola, poche parole, malinconiche.
Nostalgia di un luogo, di una città, di antiche radici che sprofondano nella memoria e non hanno bisogno di essere innaffiate per emanare un profumo tenue come certi fiori modesti.
Modestia di effetti, forse, in questa breve poesia.
Ma qualcosa che rispecchia il tempo che oggi sta vivendo il mondo.
Buenos Aires diventa Roma.
E Roma diventa grande come il mondo intero.
Perchè è il mondo intero, oggi, sperduto, nelle strade vuote, silenziose, indolenti, e invisibili, come ha saputo sentire l’autore.
E’ di un solitario, la meditazione di Borges che passeggia per le strade di una periferia che, vista da qui, ora, è una periferia del mondo.
Ma viste oggi, le strade solitarie, sono strade di periferia ovinque si trovino.
Periferie ovunque.
Il mondo intero, pare diventato un’infinita periferia di solitudini.
Oggi che sono vietate dal vocabolario degli uomini le parole che significano stare uniti, toccarsi, darsi addosso, le strade del mondo sono diventate strade solitarie.
Ed è una fortuna, per chi, come Borges, amava la solitudine.
Se ancora gli è restato, a quel qualcuno (non a Borges, morto nel 1986, ormai), l’amore per la solitudine.

Il silenzio delle strade oggi sembra rimbombare.
Andare solitari a fare la spesa e incontrare un clochard con tutta la sua casa raccolta dentro quattro borse sporche e tutto il guardaroba addosso fa male.
Meglio solitari.
Incorciare uno sperduto in infradito, oggi, nel pomeriggio tiepido e nuvoloso, che sputa die volte davanti ai suoi piedi mmentre cammina.
Fa la sua lavanda dei piedi solitara.
Non è arrivata nessuna solidarietà umana a fre compagnia a questi relitti.
Nè una carità a levarli dalla pena.
Mi guardo attorno attonito.
Mi sorprende sentire dentro di me il sollievo delle solite cose di casa.
La pagina calda di un vecchio libro.
La fortuna di poter curare la mia fame di vita con la mollica soffice di un pane fatto di chicchi di parole.
E poter sentire la fragranza di quel pane, dipanarsi come un aroma ghiotto, nutriente.
Il forno che ha potuto cuocere quel pane era caldo ancora, mentre Borges calpestava i marciapiedi incerti delle strade di Buonos Aires.
E, attraverso quelle strade, è giunto fino a qui, a Roma.
Lontano, solitario, eppure, così vicino, come un vecchio amico arrivato in soccorso.

Tremo alla parola soccorso.
Evocativa di altre paure, così vive come mai, prima.
La malattia, la sofferenza, la morte.
Pensieri che portano all’infinito all’eterno.
All’aldilà.
A ciò che c’è e che potrebbe non esserci più.
A ciò che non ha mai fine e che, per i deboli esseri umani, potrebbe finire per sempre in attimo.
A Dio.
Per chi crede.
Soccorso.
E il sollievo di poter essere accolti fra le braccia di qualcuno che sappia dare calore.
Un infermiere, oggi, un medico.
Si sente un freddo, in giro, come un vento gelato che corre per le strade solitarie dell’anima.
Strade che, dice Borges, si fanno larghe come l’Ovest, e il Nord, e il Sud.
E chissà perchè mai l’Est è svanito.
L’Est, là, da dove sorge il sole…

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