NOBEL – BOB DYLAN

Molti si sono dedicati a commentare il Nobel dato a Bob Dylan, in questi giorni, esprimendo entusiasmi o critiche per la scelta dell’Accademia.
Come se il premio a Robert Allen Zimmerman fosse una scelta come le altre.
Non un letterato, non un accademico, non un romanziere o un poeta cattedratico o estemporaneo.
Io leggo, nella scelta di questo premio, un segno diverso.
Un segnale di allarme, un grido di attenzione nei confronti del mondo contemporaneo, della deriva di indifferenza verso ogni valore, del cinismo con cui, il mondo, sta dimenticando i disperati, le vittime, i derelitti.
Non si tratta di poesia, qui, non solo, almeno.
Si tratta del muto silenzio con cui si finge di non vedere il modo con cui i sazi voltano la testa e storcono il naso nei confronti della puzza della fame, della povertà, della morte.
Penso agli Stati Uniti che stanno lottando, non per scegliere il miglio presidente di sempre, ma per non consegnare la valigetta della fine dell’umanità nelle mani di un essere arrogante e cinico, di un individuo che, solitario ed egoista, ritiene di poter costruirsi il mondo a propria immagine e somiglianza.
Un mondo dove chi soffre, chi fugge, chi lotta per avere un presente, o un magro futuro, non dia più fastidio, non mostri i suoi occhi sofferenti, le sue mani tese, i suoi pugni chiusi.
Promette muri per rinchiudere il mondo dorato dei ricchi, come un nuovo giardino dell’Eden, in un recinto che respinga le greggi miserevoli.
Muri si costruiscono, ancora, oggi, ai nostri confini.
Muri, come cicatrici sanguinanti, chilometri e chilometri di cavalli di frisia per respingere chi chiede qualcosa.
Muri, sulla Terra, dove la natura non ha costruito confini, ma solo cammini.
Muri, invece che ponti.
Muri per nascondere le differenze, non per annullarle.

Il Nobel di Bob Dylan è un richiamo.
Una scossa, un sussulto, un brivido.
Di Bob Dylan non ricordo le canzoni, pure meravigliosamente poetiche.
Non la voce strascicata di chi non concede spazio all’estetismo esteriore.
Non le parole, le frasi, le strofe, metafore di un mondo aperto, libero, sconfinato.
Ricordo, invece, le immagini di una delle apparizioni più significative di un volto giovanile, di una voce, ed una chitarra, dinanzi ad una folla immensa di anime perse, derelitte, senza nomi e senza diritti.
Ma era una folla che pretendeva un futuro.
Una folla che si univa, compatta, intorno ai suoi leader, per prendersi un lembo di terra nella patria dei diritti che li aveva relegati nella segregazione nella schiavitù.
Un volto quasi spaurito.
Una voce.
Fievole, flebile, debole.
Eppure immensamente potente.
Come quella massa di uomini neri che pretendevano i propri diritti.
Era quella la voce, di Bob, che regalava dolcezza, sicurezza, forza e speranza.
La voce di un giovane uomo.
E di una donna, Joan, Baez, al suo fianco.
Adamo con la sua Eva, dinanzi alla folla di angeli nel paradiso terrestre.

Quella voce, e quella folla, richiamano alla mente altre voci ed altre folle.
Un0’intera generazione di angeli e demoni.
Alcuni, sopravvissuti fino a noi, oggi, continuano a sognare e a cantare.
Altri, invece, sono volati via.
Anche le folle, nelle strade, e nelle piazze, si sono poco a poco dissolte.
Scolorite le bandiere.
Spente le voci.
Perse le speranze.
Oggi, moltitudini di solitarie anime perse si aggirano per le strade e le piazze.
Protestando, urlando, imprecando.
Eppure, rassegnate, disperate, sconfitte.
Non pretendono più.
Non si prendono più ciò che gli spetta.
Aspettano, chiedono, implorano.
Inermi, sanguinanti, disfatte.
Anime perse, solitari fantasmi.
Che come le greggi mansuete non conoscono la forza di cui sarebbero dotate, se solo sapessero unire gli sforzi.
E nessuno, per loro, canta più canzoni di lotta.
Nessuna voce li spinge.
Solo strilli, pianti, disperate urla strazianti.
Questo, ci ricorda il Nobel di Bob.

** Il testo della canzone cantata da Dylan alla marcia su Washington di Martin Luther King è il seguente:

QUANDO LA NAVE ARRIVERÀ

Verrà il tempo
Quando i venti si fermeranno
E la brezza cesserà di spirare.
Come la quiete nel vento
Prima che l’uragano cominci,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Ed i mari si divideranno
E le navi si scontreranno
E le sabbie sulla riva tremeranno.
Poi la marea risuonerà
E le onde scrosceranno
Ed il mattino comincerà a sorgere.

I pesci rideranno
Nuotando fuori dal loro corso
Ed i gabbiani tutti sorrideranno
E le rocce sulla sabbia
Si ergeranno fiere,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

E le parole che sono state usate
Per confondere la nave
Non saranno capite mentre verranno dette
Perché le catene del mare
Saranno spezzate nella notte
E saranno sepolte nel profondo dell’oceano.

Una canzone si innalzerà
Mentre la vela maestra scenderà
E la barca scivolerà verso la spiaggia.
Ed il sole rispetterà
Ogni faccia sul ponte,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Poi le sabbie srotoleranno
Un tappeto d’oro
Perchè i vostri stanchi piedi
possano toccarlo
Ed i saggi della nave
Ancora una volta vi ricorderanno
Che il mondo intero sta guardando.

Oh i nemici si alzeranno
Con il sonno ancora negli occhi
E dai letti si scuoteranno
e penseranno di stare sognando.
Ma si pizzicheranno e grideranno
E sapranno che è vero,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.

Allora alzeranno le mani
Dicendo “faremo ciò che volete”,
ma noi dalla prua grideremo
“i vostri giorni sono contati”.
E come il popolo del Faraone,
saranno sommersi dalla marea,
e come Golia saranno vinti.

3 pensieri riguardo “NOBEL – BOB DYLAN

  1. I commenti che ho letto riguardo a questo Nobel non fanno altro che confermare questa tua lucida visione dell’oggi. La tentazione di mollare tutto è dietro la porta ed è forse l’unica cosa che ancora urla. Ed ho paura di quest’urlo, che non arrivi a vincere sulla voglia di credere ancora che sia possibile cambiare…
    Benedetto questo Nobel, Riascoltiamo le sue canzoni, facciamole ascoltare ai giovani! Credo che una delle cause della loro indifferenza sia la nostra paura di mettere il naso fuori dalla banalità in cui stiamo cadendo…

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    1. Si. Comunque, con un moderato ottimismo (o con piacere), vedo che l’energia di quella, la nostra, generazione continua a brillare nell’universo di oggi.
      Quella musica, quella letteratura, quella poesia, quell’esplosione di creatività ha cambiato il mondo e ancora viaggia nel nostro universo.
      Poi, se sia cambiato nel bene o nel male, chi può dirlo?
      Porsi una domanda del genere, poniamo, quando ci fu il grande Big Bang che diede origine, così dicono gli scienziati, all’universo come lo conosciamo, è forse una domanda sensata?
      E’ accaduto e basta.
      Ecco, immaginiamoci che Dylan sia quello che ha dato il via, o sia il simbolo, al grande Big Bang della nostra generazione. Gli abbiamo dato il Nobel.
      Adesso, cerchiamo chi ha dato il via al grande Big Bang dell’universo.
      E proponiamolo per il grande Nobel.
      Che ne dici, cara Fausta?
      Piero

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