AD ASTRA

Odilon Redon (1840-1916) – Il carro di Apollo

Su, sali lassù. Più in alto. Su, ancora più su!
Non vedi che corre più forte, adesso, quel sole?
E le stelle, nel cielo, non si son fatte più belle?
Dai, ascolta. Non senti come bussa forte nel petto
il desiderio? La voglia, ora, impetuosa t’afferra,
si fa prepotente. E allunga la mano, allora,
per afferrarla. Tu, ora, non puoi trattenerti!
Urla, urla pure a quel cielo. Che t’obbedisca!
Che strisci ai tuoi piedi. T’invochi, s’umili!
E’ tuo questo tempo, non vedi? T’aspetta, se vai.
Salta. Su salta più in alto che puoi. Non esitare.
Non tornerà, domani, il momento in cui la tua vita
avrà tanta forza spietata. E tu? Invece, che fai?
Stai nel tuo letto, intristito, piangi e mugugni?
Rimpiangi il futuro che se n’è andato senza di te!
Povero giovane figlio, ti rassegni senza lottare?
Urla, graffia, mostra le unghie, rompi, conquista!
Spezza le catene a cui io t’ho legato senza pietà!
Su, forza, che aspetti? Sbatti più forte le ali!
Lanciati, osa! E’ tuo lo spazio, vola, tendi le mani!
Prova a prenderti il tempo: è tuo, oggi, il domani.
Non farlo finire. Dura un attimo solo, l’incanto
di questa sovrumana forza che ti rende sovrano.
Ma tu non lo sai. Tu, te ne stai muto, esitando,
là, s’una soffice nube. Fissi lo sguardo per terra.
Tremi. Non vedi i cavalli del carro di fuoco?
Chiedono, implorano un ordine. A te solamente,
Fetonte, obbedirebbero. Alla dura forza del braccio.
Io, invece, vecchio astro stanco solare affannato,
mi estinguo. Ombreggia ormai, ad Oriente, laggiù.
Scende la sera e il ciel si dimette pian piano.
E’ tempo, ora, d’osare, mio eroe: mio nuovo astro
nascente!

6 pensieri riguardo “AD ASTRA

  1. Bellissimi versi da dedicare ad un figlio, perchè il senso è chiaro, almeno per me, sotto le vesti mitologiche.
    E forse perchè no? Potremmo dedicarlo anche a noi stessi, forse potrebbe essere utile. Non tanto a te, Amico caro, so che sei combattivo, ma a me sicuramente può servire.
    I tuoi versi credo siano tutta una metafora, se è così, è davvero notevole!
    Un abbraccio

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  2. Cara Patrizia, credo che mentre scrivevi il tuo commento sei passata da un’idea all’altra…

    Alla fine la cosa più difficile di questa poesia (la chiamo così, ma con umiltà), è stato trovare il titolo giusto.
    Perchè… perchè quello che volevo dire, quello che avevo scritto non era qualcosa di semplice: alle volte, ciò che proviamo, dentro, non è semplice, e così questa poesia.
    E’ iniziata come un inno al cielo, alle stelle, alla notte, a prendersi e trattenersi quella bellezza sconfinata e sublime….
    poi, è subentrata una malinconia determinata alla passività che si percepisce in questi giorni di lamenti e gemiti, lagne e lacrime, malinconia che è dovuta ad una specie di solitudine, di morte attorno a noi…
    La forma dei pensieri ha preso la strada più facile, dell’esortazione, a prendersi e prenderci quella bellezza, quel cielo, quelle stelle… e l’esortazione, generosamente, si è estesa ai nostri figli, ai giovani, alla società…
    Ma quell’esortazione è diventata qualcosa d’altro, quando Fetonte, il figlio del dio Sole, s’è messo nelle vesti dei nostri giovani, ed io mi sono ritrovato, come dio Elios, ad esortare mio figlio a osare l’inosabile, l’impossibile, anche quando quell’impossibile è lo stesso destino di morte che nel mito condanna il giovane Fetonte a morire sbalzato dal carro di fuoco.
    Come un Icaro … più blasonato. e potevo io, padre amoroso ed ansioso, esortare un figlio a prendersi il suo destino di morte?
    Ecco.
    Ma, non perchè Icaro abbia fallito il suo tentativo di prendersi il cielo, poi, gli uomini hanno, in seguito, evitato di ritentare l’impresa!
    Il cielo qualcuno, dopo Fetonte e dopo Icaro, e dopo molti altri senza nome, quel cielo, poi, qualcuno alla fine se l’è preso!
    Ed ora è a nostra disposizione, per i voli, gli aerei, i viaggi…
    Ed anche per le esplorazioni degli spazi, delle leggi della natura, della scienza, e forse, chissà, dell’usurpazione dello scettro del regno del creato…
    Così, come Elios, mi sono trovato ad urlare all’Uomo, ad esortare quella scimmia scesa dall’albero, ad istigare, se posso dire così, l’istinto di allungare la mano in una predatoria conquista della creatura più incredibile che sia stata creata, l’immagine del dio allo specchio, potenza creatrice rovesciata che s’irradia di qua e di là, come nel dito della creazione di Michelagnelo, che non si sa se in quale direzione irradi la potenza creatrice: se ci pensi, in quell’affresco, è forse più il dio ad essere debitore nei confronti del pittore che non viceversa…

    Ecco.
    E’ stata una passeggiata … esortativa.
    Come il tuo commento, partito con una dedica ad un figlio e terminata in una metafora notevole…
    Ed ecco, la difficoltà a trovare il titolo giusto.
    Ad astra, è un invito ad andare verso quegli astri… ma intorno si condensano tanti altri dettagli…

    Un bacio, Pat.
    Piero

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  3. Mia cara Fausta,
    io sempre ti devo ringraziare.
    Sei gentilissima a lasciarmi i tuoi complimenti.
    Aggiungi anche qualche critica, mi piacciono le critiche.
    E anche qualche pensiero.
    Mi fa piacere scambiare pensieri: si si arricchisce sempre e non si perde mai niente.
    Un abbraccio,
    Piero

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  4. Caro Piero, la poesia è sempre una creatura d’intimità con l’anima del poeta
    Chi legge traduce una propria sensazione e ne rimane più o meno colpita
    In questa poesia oltre a tanta bellezza, c’ è la tua forza poetica nel voler risvegliare l’ Uomo dal suo torpore esistenziale e proiettarlo di nuovo verso il firmamento da cui veniamo
    A me è piaciuta veramente
    Un plauso
    Ti abbraccio
    Mistral

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  5. Una riscrittura del mito di Fetonte, che per me, per noi uomini di questo tempo senza troppe fedi, può sottrarsi al triste destino di morte.
    E, se ci pensi, sottrarsi al destino (scritto da qualcun altro), non è anche un farsene padrone? Farsi padrone della propria esistenza?
    Per me, padre (di un figlio), figlio (di un padre che non c’è più e di una madre dolcissima), fratello (di altri fratelli, due, per l’esattezza, ma anche di tutti gli altri fratelli uomini), è un atto di fede in quel che siamo.
    Oggi non è facile credere a quel che siamo, perchè lo misuriamo con metri futili e fugaci…
    Allora, perchè non farci misura, noi, con le nostre debolezze, dell’impresa di vivere?
    E, così, diventa un’esortazione, la prova di riscrivere il mito, l’intimazione al figlio di prendersi in mano l’impossibile!

    Un abbarccio, mistral,
    Piero

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