IL COMPOSITORE

Ivan PUNI - Il musicista sintetico (1921)

Le note ticchettavano sulle corde, piano piano, all’inizio.

Poi, sbattevano per terra, ai piedi del pianista, dopo un volo frizzante, leggero, un pò scoppiettante. Una traiettoria deforme, come fosse zoppa, irregolare, che disegnava in aria una figura a spirale ubriaca, cadente, giù, bassa, sempre più infima. E appena sbattute là, sul fetido legno consumato del pavimento della sala, restavano esanimi, immobili, paralizzate nelle loro agglomerazioni di semitoni bassi o alti, di andanti, adagi e pianissimi.

Il compositore aveva imposto un nuovo movimento: FERMO!

Un movomento così non si era mai sentito.

Questo aveva pensato quando aveva schizzato sul foglio del pentagramma quell’ordine al maestro esecutore.

Era bello stare a guardare quello spettacolo.

Occorreva, certo, avere degli occhi buoni, più che orecchie addestrate.

Quando saltavano fuori dalla pancia del pianoforte erano grandi al più come formiche, nere e panciute come quelle bestiole e altrettanto attive, vitali.

Brulicavano nell’aria, reggendosi a mezz’altezza, saltellando e sgambettando come un nugolo di moscerini all’impazzata.

Vedere crome e biscrome agitarsi i quello strano balletto poteva anche non stupire un pubblico avvezzo alla musica, ma le semiminime … e le mimime … gravi, pesanti.

La loro danza lenta sembrava un corteo di bestioni dal passo incerto.

Giraffe, elefanti, rinoceronti, spossati, deboli, sfiancati.

Il suono di quelle note era già un anticipo di quel FERMO che il compositore avrebbe di lì a poco apposto sotto alla chiave di violino per conformare il tempo della sua composizione.

Era uno studio.

Stava elaborando la ricerca del tempo.

Si, il tempo musicale.

Ma voleva esaminarlo, provarlo, da un punto di vista dal quale nessuno, in musica, si era mai cimentato.

Si sa, la musica è cadenza, ritmo, armonia, qualcosa che non si più fermare.

E’ vibrazione.

Scossa che si propaga come una saetta nell’aria.

Finchè colpisce il timpano dell’ascoltatore, accarezzandolo dall’interno.

Facendolo sussultare.

Languire.

Sospirare.

Ma, e qui il compositore voleva intervenire, l’effetto lirico più alto di un ascolto si otteneva quando una pausa fra due suoni definiva un colore, un mutamento, una trasformazione fra la nota che era appena deflagrata, o aveva appena sussurrato il suo contenuto di melodia, e l’altra, la seguente … in quell’intervallo, in quella sospensione, poteva avvenire l’imprevedibile.

Cosa c’era stato, un attimo prima?

Un suono scoppiettante ed allegro? E allora tutti si sarebbero aspettato un altro suono così, anzi, magari ancora più festoso, più raggiante …

Oppure, ad un orecchio più smaliziato, non sarebbe sfuggita neanche la possibilità di legare quel primo tocco, quel sibilo, quel trillo acuto, con la gravità di un’ineluttabile voltafaccia del destino, con l’oscuro rivolgersi degli elementi narrativi.

Lui, invece, voleva catturare la pausa.

In quell’attimo, in quella frazione sospesa, era lì, in quello spazio così limitato, che si nascondeva, secondo il compositore, la possibilità di elaborare una nuova teoria musicale.

Didier DELAMONICA - Il pianista

La pausa fra due note, supponiamo, un mi e un la, la pausa fra due note, dicevo, è un momento di silenzio che separa due suoni differenti. Un lampo di oscurità, di buio, fra due punti di luce abbaglianti.

Quel momento, quello spazio, è indispensabile per dare corpo alla musica.

Non esisterebbero le note, i suoni, se non fossero delimitate, ciascuna, ogni singola nota emessa da uno strumento qualsivoglia, da una parte e dall’altra, da due altissime, invalicabili, mura di silenzio.

Sarebbe, l’accavallarsi dei suoni, soltanto un assordare indemoniato. Un clangore senza senso e senza valore.

Un rumoreggiare impazzito di onde sonore sovrapposte le une alle altre in una scompsta e sconcia orgia sonora.

Nessun estro, nessun ordine, nessun significato, nessuna verità, nessuna filosofia.

Solo un insensato aggrovigliarsi di lunghezze d’onda, una tempesta sonora sconcusionata.

La pausa.

La pausa, invece, era la maestra ordinatrice del tutto.

Il potere divino della creazione della composizione stava proprio in quel corpo senza materia, in quel puro atto senza colpa, in quell’incedere nell’immobilità che consentiva al dipanarsi della melodia di acquisire la forma della Bellezza che sa dare l’orgasmo del piacere sonoro a chi sta in silenzio ad ascoltare, le orecchie tese, in sala, immerso nella penombra semibuia che avvolge la platea.

La pausa.

La forza del nulla creatore, ordinatore.

Il potere fecondativo dell’assoluta immobilità dell’inesistente.

La rivincita di ogni Niente che impartisce ordini ad ogni dose di Tutto, stabilendone il destino di essere accettato ed appludito o rifiutato e fischiato come semplice scarto.

La pausa.

Il richiamo del Nulla eterno che avvolge l’Universo, lo custodisce, gli offre la possibilità di essere.

La frazione infinita dotata della qualità di esistere prima del Tempo, prima di ogni Tempo, di ogni Evento, di ogni Avvento.

Alla radice di ogni Movimento.

L’incontenibile che viene prima della Creazione e che ne assicura, la direzionee, lo scopo, il buon fine.

Ecco, ecco la ragione che scuoteva così profondamente il compositore mentre se ne stava assorto a tracciare i suoi segni misteriosi sulle righe del pentagramma.

Giampaolo TALANI - Il bambino e il musicista

Le note, in pieno concerto, scorrevano fuori dalla bocca dei violini come un torrente impetuoso.

E scendevano verso il pavimento consumato disegnando una traccia argentata che si raggrumava, a poco a poco, in grande lago che, dal luccicore crsitallino delle acque gorgoglianti, sfumando sempre più verso i toni profondi delle ombre dense, diventava una nera macchia di cielo notturno. In quel cielo ancora, a momenti, puntinavano le note acute più squillanti, come stelle che stentavano a spegnersi.

Poi, poco a poco, il nero della Pausa Assoluta accendeva di eterno primordiale quella volta senza più stelle.

Per raggiungere la capacità della tecnica musicale sopraffina necessaria a portare a termine il compito che si era prefisso, il compositore aveva dovuto fare ricorso ai trucchi musicali più estremi, aveva consultato Maestri e Direttori di fama, aveva frequentato i corsi dei Conservatori più famosi, aveva chiesto aiuto alle Orchestre più rinomate…

Ognunogli aveva offerto, in ogni caso, un briciolo di conoscenza in più.

E anche se non sarebbe mai riuscito a raccontare dettagliatamente come era accaduto, alla fine era riuscito a mettere il suo punto di FERMO, sotto alla partitura del pentagramma.

In quel momento, ogni strumento si era fermato, per dare spazio a quella pausa senza fine che il FERMO imponeva.

Tutto il pubblico, in sala, era restato attonito.

Il silenzio ronzava, tra le teste. Pulsava penerando nelle orecchie.

Faceva trillare i diamanti delle dame ingioiellate.

Vibrava profonda come la più intima delle basse note dell’universo.

Era la vibrazione stessa della vita che pulsa continua negli spazi più profondi.

Tutto il pubblico del mondo si era fermato ad ascoltare.

Tutto il pubblico dell’universo.

E gli dei minori.

E il Creatore più alto …

Arturo CURA' - da: Passioni

Senza fiato, senza respiro, trattenuto il battito del suo cuore, il compositore diede un’occhiata al Direttore.

La bacchetta non si mosse.

Il lago formato dal ruscllo del violino evaporava a poco a poco.

Ai piedi del piano le noticine rattrappite si ammucchiavano sempre più numerose …

Qualcuno fece scendere lentamente il sipario.

Il colore rosso del velluto era caldo.

Ancora un frazione eterna trattenne il pubblico assorto in un immobilità senza eccezione.

Poi …

fragoroso proruppe l’applauso.

Applaudiva il pubblico in sala.

E l’intero pubblico del mondo.

E quello dell’universo.

E gli dei minori.

E finanche, sospirando e facendo ampi cenni di assenso con il grande capo canuto, applaudì il Creatore più alto.

Il compositore ringraziò.

Non avrebbe mai più composto un brano.

Didier DELAMONICA