PINOCCHIO SCARCERATO

photo by Pierperrone
photo by Pierperrone

E quando mi cacciarono di cella mi trovai davvero immerso nella mia nuova condizione di vita.
Affondavo, ora, potevo davvero annegare, in quel mare senza fondo.
Là, invece, tra quelle quattro mura ristrette, anche se mi sentivo innocente, incolpevole, puro, ancora, diciamo così, puro, almeno come si può sentire un uomo qualunque di oggi, mi pareva ancora di essere in qualche modo protetto.
Certo, con me, i secondini si sentivano autorizzati, chissà da quale autorità sconosciuta, a trasformarsi in carcerieri.
E c’è una gran differenza fra questi due tipi di angeli custodi!
Lì l’ho imparato.

Un secondino ti guarda, ti scruta, ti osserva, ti vivisezione con i suoi esperti occhi indagatori.
Un secondino, anche se ha la divisa scolorita dal tempo e dall’uso, ha più occhio.
Un secondino ha più occhio del giudice istruttore, presuntuoso nei suoi vestitini azzimati, che invece si sente importante proprio come Dio sceso in terra nel giorno del giudizio universale e vuole metter su un processo, con le testimonianze, le prove, i cancellieri, gli avvocati e anche la corte e i giurati.
Lui, invece, il secondino, con la sua divisa larga, verdastra, unta, impregnata dell’umore pesante del tempo stantio che si rapprende in galera, ti osserva e ti studia per ore.
Alla fine ti conosce fin nel più intimo della tua anima nuda.
E mentre te ne stai appoggiato ad una parete come un quarto di bue scuoiato, lui, da dietro lo spioncino quadrato della porta sbarrata, ti tiene addosso puntati i suoi esperti occhi da beccaio di Stato.
Occhi che ti tagliano a pezzi, ti pesano e ti espongono sul bancone puzzolente di marmo che lui solo riesce a vedere, proprio come un manzo dato in pasto alle mosche in una squallida cella gelata d’una macelleria sociale.
E mentre tu, inerte, te ne resti lì, sulla branda puzzolente di piscio e sudore, semiaddormentato, incosciente, svenuto, buttato come un cadavere pronto ad esser venduto pezzo per pezzo, lui, da dietro al suo vetrino quadrato, ti soppesa grammo per grammo: sa scartare, con la sua esperta abilità maturata negli anni, tutti i trucchi bugiardi con cui fingi di essere morto.
E intanto, i suoi occhi aguzzi e affilati scavano dentro le tue carni finquando non trovano la tua misera colpa.
E sanno scovarla anche se la tenevi nascosta ben bene. Anche se la tenevi nascosta alla tua stessa coscienza.
E, si sente, nel vociare greve da caserma, vantarsi coi commilitoni abituati da sempre a mischiarsi con la feccia più dell’umanità intera, vibrare nella strozza la soddisfazione con cui racconta la sua acuta perizia all’annoiato collega di turno.
Non ti serve a nulla, allora, negare, quando ti spiattella in faccia la sua verità, quella verità che è anche la tua stessa verità, che deve essere la tua verità, e che è anche la Verità che vale come verità per tutti i Santi del Paradiso sacramentato.
E allora quella verità ti appartiene.
E ti apparterrà, da allora, per sempre.
Anche se tu, volgare porco intento a razzolare nel tuo sozzo truogolo di crusca, quella verità la neghi con tutta la forza che hai, se la urli piangendo, o se la ammetti con passivo silenzio di morte.
Neanche il giudice istruttore ha tanta abilità nello scovare i vermi che ti strisciano dentro.
Quale santa soddisfazione sprizza dai suoi occhi indemoniati di sbirro!

Ma io fui non fui assegnato ad secondino.
Ed un carceriere non ha nulla a che fare con i secondini.
Anche se, alla fine, si tratta solo di turni di lavoro diversi.
Perchè, un secondino resta sempre dietro alla pesante porta sbarrata, dietro una cigolante cancellata piena di ruggine, o in fondo a un infinito puzzolente budello chiamato braccio, o corridoio, tanto è lo stesso.
Un carceriere, invece, non fa il suo sporco lavoro nascosto dietro alla rassicurante porta impiastrata di polvere e grasso che ti tiene rinchiuso nella tua cella quadrata.
Il carceriere lavora direttamente dentro di te.
Vorrei cercare di essere un po’ più preciso, ma solo per dire che lui, usando le sue pesanti mani con esperta abilità, riesce ad tirarti fuori l’anima sporca di sangue prendendosela direttamente, strappandola ai tuoi occhi pesti o alle tue reni spremute.
Le tue ossa spezzate, le tue urla penose, non fanno che convincerlo ancora di più della necessità di continuare a ripulire il mondo della tua marcia immondizia.
Tu sei la prova che la colpa esiste davvero.
E che la colpa che indossi con tanta elegante indifferenza ti possiede e ti rende pericolosamente infettivo.
E se tu puoi andartene in giro liberamente, quella cammina liberamente con te.
Ovvero, se tu te ne vai libero in giro per il mondo e nessuno ti ferma, allora anche la colpa se ne va libera in giro per il mondo e nessuno la ferma.
E il mondo non è abbastanza libero se tu te ne puoi andare libero in giro per il mondo portandosi in giro l’immondo contagio della colpa che ti porti cucita addosso da quando sei nato.
E quindi il carceriere lo sa che la sua opera è come quella di un medico e che deve fermarti.
Deve impedire che tu e la colpa schifosa che ti porti addosso con tanta indifferenza colpevole possiate andarvene a spasso ad infettare chissà quanti altri comuni mortali.
E sa anche che la sua opera purificatoria deve essere compiuta con assoluta e cieca determinazione.
E’ questo il compito di un servitore dello Stato solerte.
Allora, ecco, vedi lui ti cava la tua anima di dentro a furia di botte, scientifico, come un dentista.
E dopo aver operato come un chirurgo provetto senza neanche bisogno, o forse il riguardo, di praticarti l’anestesia, ecco, alla fine puoi vederla, la tua anima, stesa, là, innanzi ai tuoi occhi, riversa sotto i suoi piedi ancora armati di pesanti scarponi dentati.
Rovesciata sul pavimento come un secchio di letame fumante.

Senti mille voci urlare in quel cieco mondo di sordi.
Invocano tutte innocenza e pietà.
Ma tanto a che serve?
Soltanto a dar prova ulteriore della colpevole intenzione di perseverare nel male.
I guardiani vigilano attenti e agiscono per bilanciare col loro Bene il Male che i carcerati portano strisciando nel mondo.
Fino al momento in cui il sommo giudice giusto, dal suo ufficio nascosto in fondo ai maleodoranti budelli, non si stanca di tenerti richiuso, alle spese d’uno stremato Stato sprecone.
Allora ti accorgi che è giunto il tuo momento.
La porta sbarrata con un ansimo sordo si spalanca e ti vomita dentro l’inferno.
Devi andartene e portarti appresso la colpa come una gogna.
A che serve un prigioniero di cui non si riesce a conoscere il nome?
Hanno provato a cercare.
Hanno cercato in tutti gli anfratti della tua lercia coscienza.
Sono passati attraverso tutti gli organi del tuo povero corpo.
Si son fatti aiutare da medici specializzati e da esperti d’ogni settore.
Anche i servizi segreti hanno fatto le loro ricerche, perché un prigioniero senza un nome da esporre come un trofeo è solo un pericoloso caso senza nessuna soluzione possibile.
Si, ad un certo punto volevano appiccicarti addosso un reato qualunque.
Come tante volte, da sempre, si fa in questo mondo di anime morte, volevano riempire i loro formulari voraci con le descrizioni dei più efferati delitti.
Bombarolo, anarchico, terrorista, talebano, tagliagole, rapinatore, assassino…
Ma gli mancava uno straccio di prova.
Un misero corpo del reato a cui legare la tua misera, inutile, vana carcerazione.
Ma uno senza nome è uno che non esiste.
Un’ombra che passa senza lasciare una traccia.
Uno senza storia e senza passato.
Un’ombra senza ombre a cui appiccicare una qualunque raccapricciante sordida storia di sangue.
Quindi, alla fine, sono stati costretti a cacciarti di là.
E ora finalmente sei libero di andare all’inferno.

Eppure, l’ho detto, all’inizio.
Là dentro mi sentivo protetto.
Pian piano, superata la sorpresa d’esser stato derubato del nome, e con quello, pure d’una identità individuale, mi sono accorto che, là, avevano trovato il modo di tenermi scritto nei loro ordinati registri.
Negli elenchi dei casi insoluti, tra gli inspiegabili casi della cronaca nera, il mio caso di colpevole senza nome e reato, l’avevano inserito alla pagina segnata con il numero “ZERO”.
Incominciava con me, quella pagina bianca.
E, per quel che ne so, nessuno, dopo di me, ha meritato un privilegio così.
Essere il numero ZERO, dunque, aveva un valore.
Significava comunque esser qualcosa.
Un’esistenza vera, reale, concreta.
Una ricerca ancora in corso da parte di zelanti agenti in divisa.
Una pratica aperta di burocratica certezza esistenziale.
Ora mi hanno buttato nel mondo come un inutile sacco di letame non ancora del tutto marcito.
E soltanto adesso mi accorgo del male che m’hanno fatto davvero.
M’hanno rubato anche il numero ZERO!
E ora, qui, fuori, la vita, per me, è solo l’inferno
in cui mi hanno lasciato a bruciare.
Sono vivo, eppure, per tutti, è come se fossi morto davvero.

4 pensieri riguardo “PINOCCHIO SCARCERATO

  1. questo nuovo capitolo del tuo racconto con protagonista un senza nome è una storia che si contamina con gli ultimi fatti di cronaca e le relative sentenze troppo sorprendenti per essere accettate. La tua storia è fluida e scivola con ritmo amaro su fatti poco piacevoli, sulle differenze tra carcerieri e secondini, su una vita dietro le sbarre che non è più vita, ma un viaggio all’inferno dove l’umanità rimare fuori dalle sbarre e forse anche dal cancello principale. Piero, con questo scritto dai sfogo a quel malessere che ci assale quando sentiamo i vuoti della giustizia che genera la perdita di fiducia nelle componenti di uno Stato civile, che evidentemente non lo è più.
    Ottimo lavoro, anche sé storie di questo tipo dovrebbero essere solo fantasia.
    Un caro saluto
    Francesco

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  2. Leggendo di questo povero Pinocchio senza nome, che non ha più nemmeno diritto allo Zero che bene o male lo qualificava, anche il mio pensiero è andato subito alle vicende di Stefano Cucchi e degli altri che hanno subìto la sua sorte… purtroppo è così forte il dolore e il disgusto per questi fatti!
    Ma qui, con Pinocchio, c’è qualcosa di più, qualcosa su cui rifletto da parecchio tempo leggendo le lettere e i blog degli ergastolani con procedura ostativa, quelli che usciranno dal carcere solo da morti…. il “senza fine mai”…
    La situazione di Pinocchio mi sembra la loro, lui è fuori, è vero, ma non è più nessuno, la sua vita non ha più il minimo valore anzi è come se non esistesse….
    In tutti questi aspetti così tragici la giustizia (non riesco più a scriverla con la maiuscola) dove è? C’è solo violenza, potere che vuole schiacciare, disumanità…..
    Il tuo racconto è forte, è bellissimo perché tu scrivi in maniera che affascina….ma è anche un pugno nello stomaco…. come lo è stato quello di Maria…. non si può restare indifferenti!
    Complimenti!!!!

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  3. Tremendamente bello quello che ci fai provare
    Il tuo sentire è nostro, la tua pena anche, il tuo Pinocchio sempre
    Bravo. La giustizia è stata sempre fragile e malata ma Oggi è davvero morta
    Un abbraccione
    Mistral

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  4. Cari amici, vi rispondo… cumulativamente per ringraziarvi di una cosa, in particolare.
    Ho visto nei vostri commenti lo specchio di quello che ho provato io stesso nello scrivere il racconto.
    La storia avrà un seguito, lo so, ho le idee già chiare, anche se prende percorsi che sono tutti suoi, ma in questo povero Pinocchio c’è la realtà dei nostri giorni, tanta realtà, ognuno di noi è o può essere nei panni di questo Pinocchio.
    Sono mille le strade che percorriamo ogni giorno lungo le quali possiamo venirci a trovare nell’avventura di questo personaggio.
    In un certo senso anche quando siamo davanti al televisore.
    Lì ci tende il suo agguato il rapinatore che vuole derubarci della nostra identità, quella che ci permette di capire, di giudicare, di formarci un’idea del mondo, di applicare la nostra coscienza ai fatti, di conoscere la Verità…
    Ecco, in fondo è questo.
    Ho letto nelle vostre parole che siamo sulla stessa lunghezza d’onda, che va oltre il caso del povero Cucchi…
    Di questo sono molto contento, felice.
    Grazie a tutti.
    Piero

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