SOLOMEO

Photo by Pierperrone
Photo by Pierperrone

Nell’angolo, all’ombra, della sala del vecchio bar, se ne sta seduto Bartolomeo Petrecca.
Per tutti, nel paese, è solo Solomeo, figlio del curato.
E d’una cagna di città.
All’ora di mezzo pomeriggio, d’estate, l’aria è liquida, quasi opaca di penombra.
Un’ombretta nel bicchiere è già a metà.
Il sudore inonda la canotta gialla e un vecchio fazzoletto svolazzante che salta da una mano all’altra, passando per la fronte segnata da rivoli copiosi e profonde rughe rosse.
Solomeo sta seduto di traverso su una sedia di paglina.
Lo schienale dritto gli allevia il mal di schiena.
Ma la gamba gli duole sempre, d’una gotta mai curata, o i reumi, o una flebite che incombe con l’età.
E’ la destra, quella che fu presa da una palla, in battaglia, quando si lottava per i sogni, la libertà, il popolo, la democrazia…
La manifestazione era una massa che scorreva come un fiume.
Un torrente, forse, ma oggi, nel ricordo del tardo pomeriggio, sembra una corrente inarrestabile, una marea che abbatte tutte le barriere.
Il brigadiere intimava di arrestarsi.
Le bandiere, rosse, sventolavano sul viale, salutando il sole alto nel cielo intimorito.
Di fronte, di lontano, nella piazza indiavolata, un manipolo di scalmanati, militanti della sponda avversa, marciavano, spavaldamente urlavano impettiti.
Le mascelle volitive vennero al cozzo in men che non si dica.
Il capo delle guardie si frappose nel mezzo della zuffa.
Intimando l’ordine di sgombero, contò in fretta fino a tre.
Altrimenti sparo!
Uno!
Due!
E tre!
Il colpo colpì Solomeo in pieno sulla coscia.
Il sangue rosso come la bandiera cercò immediatamente di fuggire.
Vigliacco, gli urlava con voce roca il ferito, ancora ignaro del pericolo che correva.
Il fazzoletto cercava invano di fermare l’emorragia.
Il cielò sbiancò all’improvviso, davanti agli occhi di Solomeo.
E anche il mare di vessilli perse d’un tratto il suo colore.
Solo un sudore freddo, un brivido.
Poi, più niente.
I ricordi, sulla sedia, si confondono, nella stanca noia estiva d’un vecchio scampato ai colpi della vita.
I cortei, gli scioperi, le manifestazioni.
I comizi, i discorsi, i volantini.
La militanza, le assemblee, le elezioni.
Lo storico giornale da distribuire.
Il progresso, il popolo, la storia.
Un mare di parole come pesci in mezzo a un mare in perenne agitazione.
La sera incombe col suo carico d’afa e di ricordi.
La memoria si fa di ora in ora più confusa.
I giovani, al bancone, chiedono a gran voce una birra, un caffè, uno spriz.
Una ragazza in minigonna mostra spudorata le sue grazie.
Solomeo si ricorda di Mariella, del fienile, delle sue labbra rosse come il sangue che colorava la bandiera.
Anche il sangue rosso di Mariella, in quei giorni di luna nuova femminile, era il segno del tempo che scorreva.
I mesi, così, si portavano in groppa le stagioni.
E le lune determinavano i ritmi sempre uguali dei raccolti.
L’amore accendeva le fiamme dell’inferno.
Solomeo si porta negli occhi, ancora, stampati appena ieri, i ricordi belli confusi dall’età.
Un giovinotto coi capelli biondi a spazzoletta, il figlio del brigadiere Ricciolini, si porta addosso il fuoco smanioso dei diciott’anni.
Ha un’idea in testa, di farsi strada in società.
E’ certo, con la certezza ingenua di quell’età, che l’ideale d’un mondo nuovo è alla portata, ormai, delle mani delle nuove generazioni.
Lo sballo d’una sera, una bevuta, una ragazzetta portata sulla moto.
Poche ciance, oggi, meno chiacchiere, due denari.
Sogni, pochi, molti voli di tacchino.
Solomeo s’è scolata la sua ombretta.
Ne ha chiesta un’altra.
E piano piano, s’è già fatta piena sera.
Incerto, un pò malfermo sulle gambe, s’alza per tornare al letto stanco.
L’aria, nella sala del bar vecchio del paese, s’è fatta marcia d’umido e sudore.
Il chiasso dei clienti, il vociare, lo sbatter dei bicchieri.
Le vecchie case rosse di mattoni, consumate dal sole e dalla pioggia, si son messe l’abito da sera, due fanali gialli, una finestra che ammicca sulla strada, un’ombra seducente come una sottana sollevata sul ginocchio.
Son come le donne del paese, solide, sode, desiderose d’amore e di calore.
Solomeo ricorda i tempi suoi, andando di traverso per la via che sale dalla larga piazza regolare.
Una canzone, un ballo, una vecchia discussione.
S’è fatto tardi, ormai, per vedere, anche stavolta, di affrontare la questione col vecchio brigadiere andato ormai in pensione.
La stanchezza d’un vecchio pesa perfino sulla ruggine del rancore antico d’un colpo sparato in una gamba.
La bandiera rossa sta sempre arrotolata dietro al freddo letto di ferro arrugginito.
Ma stasera è tardi, è meglio riposare.
C’è tempo, ormai, domani, per regolare la ragione.
Il brigadiere Ricciolini discute, al tavolo di briscola, d’una carta mal giocata dal destino.
Passando, Solomeo, dalla porta aperta sulla piazza, lo sente urlare un pò sguaiato.
Gli augura buonanotte con la voce rotta dal respiro che s’è fatto un pò ansimante.
Finalmente, pensa, anche stavolta è sceso il velo riposante della notte.
E, finalmente, s’è messo a letto, pensando ancora alla ferita sanguinante.
Ma stavolta gli s’è aperta in pieno cuore.
Senza neppure lo sparo d’un fucile arrugginito.
Sarà la confusione, la memoria d’un vecchio un poco brillo, un’ombretta scesa troppo in fretta.
Un sonno strano è sceso in fretta in fretta.
Vuoto, freddo, gelido nella notte ancora troppo afosa…

10 pensieri riguardo “SOLOMEO

  1. Bel racconto: bella l’ambientazione e la sua descrizione. Ci si sente dentro quel pomeriggio d’estate, seduti lì, accanto a Solomeo, ad ascoltare i suoi ricordi. Vecchietto simpatico, che ci avvolge con le sue parole in un tempo ormai lontano, purtroppo. E insieme guardiamo quel giovane, così diverso…checchè se ne dica…così diverso…Ma forse è giusto così, forse è così che dev’essere, anche se è difficile da accettare. Ad ognuno i suoi sogni, ad ogni epoca il modo d’essere che le spetta, che sa suscitare…
    Un po’ triste ma doverosamente, oserei dire. In sintonia con questi giorni e con la realtà che stiamo vivendo…
    Ciao Piero, un abbraccio e una buona domenica 🙂

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  2. E si, le distanze stanno nel tempo, nelle cose, nel mondo che cambia di continuo e non si può fermare…
    Noi, mia cara Patrizia, siamo cresciuti immersi in una mitologia del “progresso” che ci ha predisposti ad una rotta nel mondo praticamente fissa su una stella polare rivelatasi, poi, inesistente. E adesso, che ci troviamo in mezzo ad un mare vero in moto perpetuo e inarrestabile, ci sentiamo un pò tutti come il vecchio Solomeo, un pò incattiviti dal senso di tradimento che deriva dalla vera scoperta del nostro tempo: non esiste il mito del Progresso.
    Questo vale nelle piccole cose del mondo rinchiuso in una provincia dell’anima, a cui appartiene Solomeo, ma anche al mondo più vasto, a quello che chiameremmo il mondo della Storia.
    E quello che stiamo vivendo attraverso le finestre dell’informazione – guerre, morti, distruzioni, innocenza violata, eccetera, a cui si devono aggiungere, però, le meraviglie della scienza, della tecnica, della medicina, del benessere (che ci hanno fatto diventare, soprattutto noi occidentali, la generazione umana più nutrita, più longeva, più indipendente, più potente e anche più fragile, più indifesa e più critica) – non è altro che lo spettacolo del mondo che dondola sull’altalena della storia, o, se vuoi, che naviga sull’onda di quella stessa storia, sulle quali (onde o altalene) si sale, in alto, sempre più in alto… fino a sfiorare il cielo, o bucarlo, come il telone della donna cannone. Ma poi, inesorabilmente, si deve scendere, sperando di non cadere, di non precipitare…

    E’ un pò triste, dici tu, ed è vero, perchè siamo tutti intristiti dalla distanza con cui Solomeo guarda il giovane Ricciolini.
    C’è la malinconia di un mondo di ideali che è evaporato al contatto con il sole della realtà quotidiana.
    E c’è anche che, ormai, lo scrivano di questo blog, comincia ad invecchiare, e quella distanza la misura anche sulle sue parole.
    E’ questa la verità che provoca quel fondo di tristezza che vena la vita.
    Se non fosse, poi, che stiamo imparando (io ed i miei molteplici avatar, soprattutto) a mettere le cose una accanto all’altra, senza mischiarle e soprattutto senza credere più che l’una si sostituisca all’altra in una sorta di metamorfosi unificante mostruosa e cannibale.
    E quindi, accanto a quella malinconia, ci troviamo anche degli occhiali per guardare la vita con dettaglio che ci sembra quasi microscopico.
    E anche un arcobaleno di sentimenti che di sfumatura in sfumatura colora il mondo con intensità e profondità che prima ci sfuggivano…
    E tra quella malinconia e questa meraviglia non possiamo fare una media.
    Sono due piatti della stessa bilancia, l’attivo e il passivo del nostro bilancio, che non si possono compensare, non si possono confondere, non si possono perdere l’uno nell’altro…

    Un abbraccio forte forte, Pat!
    Piero

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  3. La conosco questa distanza che c’è tra la mia vecchia generazione e la nuova, pur bella, brava e interessante.
    Ricordo quanto era bello ascoltare, per me e per i miei cugini, i racconti dei nonni…. la loro vita – che sapeva di avventura – arrivava alle menti e ai cuori senza la pretesa di insegnare niente, anche se in realtà formavano la nostra essenza di giovani.
    Ora tutto questo non c’è più…. la mentalità è troppo diversa, non so perché ma il divario fra le generazioni è diventato un baratro….
    Mi dà un po’ di malinconia anche se credo che ci possano essere altri modi e altre strade per arrivare al cuore e alla mente dei giovani…..
    Beh, non so mica perché ho scritto tutto questo….assolutamente fuori tema, ma mi sono sentita un po’ Solomeo… e il racconto mi ha lasciato tanto affetto per lui.
    Il fatto è che in questi giorni – più che in altri momenti – sono poco sicura che tutti i progressi della scienza lo siano veramente se continuiamo a guardare una così grande parte del mondo violentata, se vediamo tanti troppi bambini morire per la guerra o per la fame….e mi faccio domande su cosa l mia generazione ha trasmesso a chi è venuto dopo…
    Abbi pazienza Pietro….è l’età…. ogni tanto parlo con me stessa…..

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  4. Mia carissima Fausta,
    i tuoi pensieri sono come i miei, e come quelli di Patrizia, per esempio, e come quelli di chi sta ormai nella generazione che vorrebbe raccontare.
    Passare il testimone attraverso il racconto è il “rito” di questa nostra fase della vita.
    L’iniziazione, da tempo, l’abbiamo superata.
    Ora dobbiamo assumere il ruolo dei “saggi”.
    Solo che questa nostra epoca vive di corsa e dei “saggi” non sa che farsene.
    Se l’obiettivo è “correre”, allora noi, che invitiamo a fermarsi, a meditare, beh, allora è facile che sentiamo di diventare un peso.

    Ma non sono sicuro che le cose stiamo davvero così, o sempre, almeno.
    No.
    Sono sicuro che il mondo, visto dall’altra parte della barricata, cioè dal lato dei giovani, è come un oceano in tempesta e noi, siamo un pò gli scogli a cui vorrebbero aggrapparsi.
    Si, siamo scivolosi, come spesso sono gli scogli, e poi non corriamo, stiamo fermi.
    Ma a cosa possono mai aggrapparsi per fermare quel senso di nausea che gli corre dentro?
    Io penso che i ragazzi, oggi, questi di quest’altra generazione, siano come eravamo noi per i nostri vecchi.
    Ma ti ricordi, Faustì, “l’incomunicabilità” fra i “giovani” ed i “matusa” ?
    Un abisso.
    Un vero abisso senza fondo.

    Ho visto a teatro quest’inverno, un lavoro di Patroni Griffi, con Leo Gullotta, “Prima del silenzio”, mi pare, o qualcosa del genere.
    La storia era quella di un vecchio scrittore che voleva raccontare, raccontare, raccontare, con le sue parole di scrittore autore di un solo grande supremo capolavoro il senso della vita, ad un giovane, uno di quelli che non ascoltano, uno di quelli che vogliono vivere il presente del momento, un giramondo, uno sfaccendato, un nullafacente sognatore e svagato, un rammollito, pigro, scansafatiche, in fuga perenne dalla vita…
    Ho cercato su internet una recensione della “piece” ed ho scoperto che era stata scritta più o meno negli anni 70 (era il 79, ho cercato su google ed il titolo è quello lì)…
    Quel giovane che poteva avere una venticinquina d’anni, oggi quanti anni avrebbe?
    Un rapido calcolo…
    Purtroppo, più o meno la nostra età.
    La cosa che mi ha scioccato, cara Fausta, di quello spettacolo è che il testo scritto nel 1979 rispecchiava esattamente le cose che oggi noi stiamo dicendo.
    Solo che non siamo più gli svagati, sfaccendati, nullafacenti, scansafatiche ventenni, venticinquenni o trentenni di allora…
    Ora noi siamo i parlatori sordi di Patroni Griffi.
    Forse poeti, poetici, sicuramente un pò patetici…

    Forse, cara Fausta, dobbiamo solo prenderci per quello che siamo e dobbiamo prendere i nostri giovani interlocutori per quello che sono, senza giudicare troppo nè loro nè noi.
    Dovremmo cercare di vivere le nostre vite, con il desiderio naturale di raccontare il passato e trasmettere la nostra esperienza ma cercando anche di farci raccontare il presente dai giovani facendoci contagiare dalla loro curiosità e dalla loro naturale fiamma, ma soprattutto, con loro, cercando di costrruire insieme il futuro.
    Lo so, sono chiacchiere, queste, mi sembrano anche un poco stupide…
    Ma che ci posso fare?

    Un abbraccio,
    Piero

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  5. Non sono affatto stupide…hai ragione! Non c’è nessun muro tra me e i giovani, è più facile che ci sia – paradossalmente – con i loro genitori!!!! Solo che mi rendo conto che non posso chiedere loro di adeguarsi al mio pensiero ma debbo io avvicinarmi al loro e non è facile…..c’è sempre qualcosa da imparare e comunque è piuttosto stimolante…
    Come lo sono i tuoi racconti…

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  6. si, si, c’è sempre qualcosa da imparare: è questa la chiave!
    Che sia stimolante è fuor di dubbio.
    Ma, chissà perchè, a volte ce ne dimentichiamo, o ci pare faticoso, o ci sembra di aver già imparato tutto, vediamo il mondo con le lenti rivolte all’indietro della nostra presunta memoria/esperienza.
    Ma la memoria/esperienza è solo un film, girato dalla nostra regia e registrato su supporti fallaci.
    Il film della nostra vita finiamo per girarlo in maniera più sdolcinata ed assolutoria di quanto dovrebbe essere un film/verità.
    Diciamo che l’età ci rende spesso più inclini alla docufiction che al neorealismo…
    Ecco.
    Interpreto bene, credo, i tuoi sentimenti, se ti faccio più incline al neorealismo: è il modo più critico per andare avanti, guardando negli occhi la realtà (la nostra, intendo).
    Ma è il modo per andare avanti.
    Questo però non cancella la nostra “molteplicità”: noi siamo più di una sola realtà, siamo più complessi, e le contraddizioni sono il sale (buono e prezioso) della nostra essenza (dico il sale, perchè, come è noto, solo nella giusta dose fa bene; troppo o troppo poco è dannoso).
    Un abbraccio.Piero

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  7. Hai indovinato….sono la critica più severa di e stessa…..fino a qualche anno fa lo ero fino all’esasperazione, ora ho imparato anche ad accettarmi con tutti i miei risvolti e a perdonarmi….. abbiamo fatto una pace “prudente” (non vorrei che la parte più accondiscendente prendesse la mano….)!
    Buon fine settimana Pietro!

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  8. … mah, sai, io diffido sempre di me.
    so che ci sono molti aspetti di me che vorrei/dovrei correggere, ma non ci riesco…
    ma soprattutto so che ci sono molti livelli per sentire il vero peso della verità.
    anche il bene ed il male sono chiavi di interpretazione della vita, oltre che valori morali.
    risentono di tanti diversi influssi che chi li prende come indirizzi precisi, netti, mi fa un pò sorridere.
    diciamo che sono delle direzioni verso cui andare, ma che ci si può facilmente perdere, in quella direzione.
    perciò cerco in tutti i modi di non prendermi sul serio, perchè cercherei certamente di giudicarmi (sport che odio) e sarei certamente … di parte.
    cerco solo, con coerenza, di andare verso la direzione che mi sembra quella giusta… ma so che a volte sbaglio strada…

    Un abbraccio,
    Piero

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