SOGNO

LEON SPILLIAERT – AUTORITRATTO ALLO SPECCHIO (1908)

Io… ho il cuore che batte forte, la testa piena di fantasmi, gli occhi piantati nel cielo, le mani affondate nelle tasche…

Mi piace andare, girare, guardare, vedere, scoprire, spiare, immaginare…

Mi meravigliano le cose che mi circondano, anche quelle più banali, mi rapiscono i dettagli delle foglie di un albero, le sfumature del cielo che non se ne sta mai fermo, il colore cristallino dell’aria in cui nuoto, il soffio del vento che mi porta le storie lontane…

Le mie orecchie assorbono i suoni della città, i miei occhi bevono i suoi colori sfavillanti, la mia pelle ne assorbe le vibrazioni, il mio corpo ne prende le forme, i miei pensieri ne ascoltano i racconti…

Se passeggio sul fiume, la corrente si ferma a salutarmi, i pesci mi fanno cenni gentili, i gabbiani si abbassano per vedermi passare, le cime degli alberi s’inchinano a benedirmi con quell’acqua che scorre benedetta, le case scendono dalle alte rive, scivolano giù dai muraglioni delle sponde, mi si affollano tutt’intorno e mi tendono la mano, felici di vedermi passare…

Quando passo per le vecchie strade strette, di pietra, gli antichi muri screpolati mi bisbigliano lo loro confidenze, come si fa con un vecchio amico, mentre le finestre mi strizzano l’occhio ed i portoni mi fischiano dietro tutta la loro ammirazione…

Ed io bevo i colori, sfioro con le dita le fredde pietre lucidate dal tempo, le accarezzo come il corpo di un’amante, sodo e maturo, con gli occhi abbraccio il mondo fin dove lo sguardo riesce ad arrivare, trovandomi, così, a stringere l’universo intero, facendomi beffe di confini e frontiere, barriere, ostacoli e orizzonti…

A passo di danza mi avventuro nella folla dei giorni, nella massa dissoluta delle frenetiche ore, con agili giravolte, piroette d’atleta e batto indiavolato il ritmo degli anni, a volte convulsi e a volte stremati…

Se, stanco, mi siedo sopra un masso che ha visto passare ombre e fantasmi, resto per ore ad ascoltare i suoi racconti accorati, le sue ansie, le sue storie infinite che mai si ripetono uguali due volte del tutto…

E, questo, racconto, questo, io, scrittore, a voi, io, poi, questo, racconto.

Il sangue che mi corre nelle vene raccolgo nel bicchiere, e lo scodello sul foglio tracciando indecifrabili segni che sono le storie del mondo…

Il calore della mia pelle lascio, insieme all’ombra delle mie labbra, sul ruvido foglio che s’impregna di vita come come una spugna assetata…

Ecco, la mia vita, non di più, questo io raccolgo per voi e la lascio, candida, stesa, nuda, a farsi baciare dal sole…

Questo potete sbirciare, fra gli interstizi delle finestre del cuore, attraverso le persiane socchiuse dei vostri occhi abbagliati dal sole…

Io…

Io ho il cuore pieno di fantasmi, la testa piena di strani pensieri, guardo passare le nuvole e indovino le rotte del cielo…

Interrogo gli astri, parlo alla luna e faccio domande agli uccelli che volano alti lassù…

Guardo un foglia cadere, intento, e ne seguo il lento volo, così, per capire soltanto come fa a restare aggrappata così a lungo nell’aria… la vedo, infine, atterrare, stupito, e ammiro l’eleganza con cui, languida, s’appoggia, col volto già pieno di rughe, ai piedi del ruvido tronco che l’ha amata per tutta la vita…

Io chiedo alle spumeggianti onde del mare come fanno a tenersi allegre per mano senza gelare d’orrore sotto l’immenso abisso del cielo che le fissa, avido, dall’infinito informe lassù…

E quelle, sfacciate, mi rispondono che son figlie dei giganti di pietra che vivon piantati davanti all’orizzonte più scuro, laggiù, dove il mare bacia la terra e che i loro abbracci schiumosi ammansiscono i terribili zoccoli che rotolano tonando dal cielo…

Per questo, loro, le creature della terra e dell’acqua, non temono il freddo specchio nero brillante della notte, in cui si rifletton gli abissi profondi dell’oceano infinito…

Io parlo alle stelle, ordino ai pianeti le orbite arcuate, indico agli ardenti astri del cielo la rotta che apre la via al mondo dei sogni…

Io, scrittore, conosco la magica arte di dare ordine al caos, un nome alle cose, i colori al creato…

Al mondo io dono sentimenti e parola e al tuo cuore, mia amata, io impongo  il capriccio dei miei volubili amori.

Nel mio inchiostro rubino s’intinge l’avvelenata punta dei dardi scoccati dall’arco di Eros che ungon di fuoco il desiderio che arde nelle vene delle ninfe vestali che piangon l’amore nel tempio di Venere.

Son io cantastorie, sapiente, sciamano, saggio, scriba, scrivano, poeta, romanziere…

Son io, son io le mie stesse parole, son io che nasco da quelle e di quelle mi nutro…

Ecco, la mia vita, questo io son, non sono di più, questo io dispongo per voi e per voi, la lascio, candida, stesa, nuda, a farsi baciare dal sole…

Questo dovete sbirciare, fra gli interstizi delle finestre del cuore, attraverso le persiane socchiuse dei vostri  ciechi occhi abbagliati dal sole…

A lungo durò la contesa dinanzi allo specchio…

Nella notte un fioco lumino rischiarava la superficie gelata del vetro argentato…

La bolla di luce s’allargava sfumando nell’oleosa densità della stanza…

Esausto, ormai, udivo, stentando a capire, le voci, ora imploranti, ora sognanti, ora impetuose e sempre leziose…

Non riuscivo, ormai, a distinguere il falso dal vero, il volto di cera imbiancato dal suo doppio nel vetro specchiato…

Nella finestra, sul vetro cieco di notte, voltando lo sguardo, vidi, mi pare, moltiplicarsi  il doppio, farsi doppio del doppio, fin quando si perse nel nulla il mio sguardo e caddi preda del sogno…

4 pensieri riguardo “SOGNO

    1. bello, mi piace che chiami versi le mie parole.
      Poesia in prosa. E’ un pò un sogno letterario.
      Un abbraccio,
      Piero

      P.S. Paolè, a te, dico.
      Grazie!

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  1. Sai cosa mi stupisce di te? La tua capacità di passare da racconti a tinte forti a racconti come questo… Belli entrambi, coinvolgenti entrambi, ma, forse per una mia soggettiva e personale predisposizione, io prediligo questi tuoi racconti più lievi. Lievi non nel significato o nella profondità, quanto nel modi di porgerli e nei temi toccati.
    Mi sono ritrovata in queste tue parole, tantissimo e mi tocca quel passaggio: “Son io, son io le mie stesse parole, son io che nasco da quelle e di quelle mi nutro…
    “Ecco, la mia vita, questo io son, non sono di più, questo io dispongo per voi e per voi, la lascio, candida, stesa, nuda, a farsi baciare dal sole…”
    Vero. Sei tu, sempre. Nei racconti più forti e in questi che a me piacciono in modo particolare.. Sei tu che porti alla luce anima, cuore e cervello, in una mescolanza quasi alchemica e la concretizzi nelle parole. . Mescolanza che ci contraddistingue tutti, Ma la differenza forse sta nell’equilibrio delle tre cose, . E nelle parole che usi,, che usiamo, come mezzo per vedere dentro e fuori di noi, in queste parole stanno le nostre verità. Anche se io sono comunque convinta che in questo mondo di parole, che semplici parole non sono, l’anima e il cuore hanno un certo grado di supremazia su tutto il resto.
    Un grande abbraccio

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    1. Che dirti, Patrì?
      Grazie, davvero.
      Sei troppo gentile, vuol dire che mi vuoi troppo bene !
      Certo, è così, l’anima ed il cuore sono quelli che danno senso alle parole ed alle azioni.
      E’ per questo che un uomo è un uomo.
      Un poeta un poeta.

      Un abbaraccio,
      Piero

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