IO E TE

Eh, si può mandare via il tempo, la vita, i pensieri, si può restare completamente nudi di fronte a se stessi, si può guardare la propria anima rispecchiarsi nella purezza cristallina di una fonte di montagna, ci si può alzare più in alto del più alto dei cieli, si può restare atterriti di fronte alla propria ombra, si può, si, si può, si può vivere qualsiasi esperienza, anche la più incredibile, la più inverosimile, l’impossibilità è una legge che non vige davanti a noi, quuando siamo immersi nel profondo del nostro cuore.

Le immagini, i suoni, i colori, gli accordi, i ritmi, le melodie, possono trasformare il nostro corpo materiale in pura energia, in forza assoluta, in legge universale, in volontà incoercibile.

Possiamo farci potenti, più potenti dello stesso impeto che diede inizio al Tutto, lo chiamino Dio, Caos, Caso, Creazione, Evoluzione, Illuminazione, Eterno, Tutto.

Se lo vogliamo, pieni del nostro carico di umanità, sappiamo trovare gli slanci per sollevarci più in alto dell’alto.

Ci basta molto poco, davvero molto poco.

Il suono di un sintetizzatore, di una chitarra, una campana con i suoi rintocchi, il ronzio di un treno che passa lontano, dietro la finestra chiusa, il soffio lieve del vento, il cinguettìo su un ramo, la profonda vibrazione del silenzio, l’onda lunga del respiro cosmico, basta così poco, per scatenare la nostra infinita capacità di essere Tutto.

Siamo il Mondo.

Siamo oltre il mondo, siamo ciò che al mondo dà il senso, il significato, l’idea, il nome.

Siamo l’occhio infinito che tutto legge, che accorda il meccanismo dell’intelligenza universale sul tempo che il nostro piede batte inconsapevole insieme alle bacchette del batterista sul palco.

I lampi dei riflettori ci portano il raggio cosmico del Big Bang.

Le martellate del bassista sono il tuono che si dibatte sospinto fra un pianeta e l’altro, che attraversa al galoppo sfrenato immense praterie abitate solo dal vuoto, che si protende verso il cuore della stella che offre il sacrificio della sua energia al nostro prepotente, volubile, volere.

Per comprendere la nostra forza oscura dobbiamo immergerci nel mare sconfinato dei nostri pensieri, accarezzati dalla dolcezza dell’Assoluto che si rimira nello specchio del suo essere, mentre conta il susseguirsi delle ere innumerabili, sdraiato sul suo divano di soffice eterno, illuminato dalla luce che sgorga dal centro dell’Infinito.

Il centro, quel centro da cui nascono, due a due, infiniti che si raddoppiano quando incontrano ogni punto che si costituisce come centro del tutto.

E si contano infiniti punti che si sono fatti centro del tutto e da quelli, come genitori felici, nascono figli due a due, che abbracciamo il tutto ed il suo doppio, ed il doppio del doppio e l’infinito dell’infinito.

E in tutto questo dilagare del nostro pensiero, noi ci facciamo così larghi da comprendere dentro di noi quella dilagante immensità.

E nessuna fatica, ci costa, quel farci così grandi, mentre una nota vibra leggera, dentro di noi, come uuna farfalla, e noi battiamo le mani, come ali, e ci libriamo, leggeri, come farfalle, insieme alle note che vibrano, un pò roche, elettriche, dolci, spaziose, comode.

Su quell’altalena ci dondoliamo, in avanti, e poi, dolcemente, indietro, e poi, di nuovo, ci sporgiamo, in avanti, per ricadere nelle braccia del vento, e poi ci adagiamo, trasognati e lievi, alla spalliera del voto, che ci sostiene, questo lo so, sicura e piena di cure, amorevole e certa.

E l’altalena si fa astronave, mentre le voce si alza, e poi, piano, se ne va, salutando, sollevando il cappello dalla fronte, con gesto educato.

E infine restiamo davanti a noi stessi.

L’immagine della Gorgone nei nostri occhi.

Statua di sale.

Pietra.

Gelido marmo.

Mentre il brivido ci percorre al rallentatore, per farsi sentire di più, il nostro sguardo si fa sempre più duro, più fisso, più acuminato.

E infine, con gesto fulmineo ci penetra al centro del cuore, attraversando la nostra fronte, passando per lo stretto passaggio che si offre dalle nostre pupille non ancor cieche ed imbuca il canyon che separa i due lobi del cervello e poi, piegando, improvviso, verso il basso, s’infila nella corrente che ci attravesa la schiena, fino al punto in cui la ghiandola pineale, cristallino rinfrangente, lo devia al centro, ma proprio al centro esatto del nostro cuore, dove si apre il punto, o il punto si chiude, che mette in comunicazione ciò che siamo da sempre con ciò che non siamo ancora diventati.

La Gorgone, spaventata, si raggela in ghiaccio, il suo seno acerbo palpita un’ultima volta ancora, l’ultima, prima che l’ultima volta diventi davvero l’ultimo palpito di muto terrore del supo cuore di vergine Gorgone.

E così, solo così, restiamo, infine, davvero da soli con la nostra anima in mano.

E’ allora che possiamo dire . “Viaggiamo”.

E’ lì che ci porta  l’astronave.

Lì, dove è la sorgente dei nostri pensieri più intimi.

Lì, dove i nostri pensieri diventano il noi stessi che li pensa.

Lì c’è la sorgente della nostra arte di vivere.

Lì le parole si fanno poesia, le note musica, i colori dipinto.

Lì, lì solo, noi siamo davvero noi stessi.

E lì, noi siamo davvero.

Povero corpo mio, che non sai vivere esperienze così assolute.

Io ti devo lasciare per vederti svanire, vecchio e debole, carcassa che la gravità condanna al peso terreno.

Tu, corpo mio, pure mi contieni.

Diventi formicolare delle mie dita, onda che trasporta il mio pensiero al mio essere, pulsazione che ordina i segni sulla lavagna bianca che brilla fino a farne parole, distillandone il senso per farne preghiera all’unico dio che può comprenderla.

Io stesso starò lì ad ascoltare il tuo atto d’adorazione, corpo mio di cui vedo l’ombra grigia allungarsi impassibile al ritmo silenzioso del sole che danza il suo malinconico tango appassionato.

Ma, lo sai, starò attento a cogliere il momento del prossimo giro degli astri, la prossima giravolta della star ballerina, per poter contare ancora il mio giorno, e dirti, è un altro, forza, lo vedi, laggiù, dai, andiamo, ancora un giro, non ti sfiancare.

E allora arriverà il domani, e il domani del domani di domani ch’è già passato.

Ed io ti abbraccerò, riconoscente e felice, per non avermi lasciato, per avermi aspettato, per avermi sussurrato, paziente, le raccomandazioni premurose perchè il mio volo nel domani potesse continuare sicuro, senza pericoli, senza temperie.

E insieme saremo felici, l’uno fra le braccia dell’altro, lì, in quell’infinitità che ci accoglie e ci appartiene.

Lì.

Lì.

Io e te.

6 pensieri riguardo “IO E TE

  1. L’eterno dualismo tra anima e corpo? Il corpo è soggetto al tempo che passa: limite, fine…e ad esso è costretto a piegarsi. Il tempo comanda, il corpo ubbidisce. Ma l’anima? L’anima non subisce cambiamenti, o forse sì? E quale connubio esiste tra anima e ragione? Sono un’unica cosa o due entità distinte ma compenetrate? E se è così, quale delle due è la più forte? Perchè credo che non sempre ci sia equilibrio. E sai perchè? Perchè credo che l’anima sia istintiva, va naturalmente verso dove deve andare. Ma la ragione no, la ragione spesso è guidata da sovrastrutture (sociali e culturali) è meno istintiva e ci porta in alcuni casi a non scegliere ciò che sarebbe giusto, ciò che sappiamo sarebbe giusto, ma quello che l’esterno ci chiede di scegliere.
    Oddio…mi sa che sono andata fuori tema…ho preso una strada secondaria
    :-/
    Comprendi…sono le 6.30 del mattino…
    Un abbraccione

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  2. Cara Patrizia… che tema difficile! E alle 6.30 del mattino! Orario… temerario!!!
    Ma forse a quell’ora è ancora aperta la porta che ci porta nel regno dei sogni.
    L’anima e la ragione, domandi, chi è più forte, se sono la stessa cosa o se si compentrano…
    Chissà, chissà.
    L’anima aleggia, sempre, come una luce diafana, ci avvolge, ci dona calore, ci anima (no?), ci vivifica, ci dona impulsi, scosse, sussulti, spinte, salti, singhiozzi, è la madre dei nostri sentimenti, li allatta e li accudisce.
    E il padre? Il padre chi è?
    Il cuore, che è la fonte della nostra forza vitale, l’astro che arde, brucia, illumina, irradia, infiamma il nostro essere.
    E la ragione?
    Il suo parente più diretto è il cervello, dio che presiede allo svolgimento di tutte le nostre azioni, cspostipite di una progenie di dei minori chiamati Spirito, Coscienza, Mente, Intelletto, Memoria, Educazione, Arte, Cultura.
    Forse il cervello e la ragione sono padre e medre insieme.
    L’essere che controlla tutte le pulsioni, le genera e le governa al tempo stesso.
    Così che non è possibile parlare solo dell’una senza tenere a mente l’altra, almeno presente alla memoria.
    Sarà lei, la ragione, a parlare, ma sempre facendo precedere le sue manifestazioni, i suoi oracoli, dalla consultazione del suo alter-ego.

    Ecco, non so… adesso siamo pari, almeno, in quanto a confusione.
    Sarai contenta, no?

    Un abbraccio,
    Piero

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