SYRIA

RAINEWS.IT – 23/9/2011. Damasco. Il corpo di Zainab al-Hosni, una ragazza siriana di 18 anni è stato trovato decapitato, mutilato delle braccia, e senza pelle dai suoi parenti a Homs, una delle citta’ nel centro della Siria prese di mira dall’esercito di Damasco durante le proteste contro il regime di Bashar al-Assad.

Syria è andata.

Si è chiusa le porte alle spalle ed ha socchiuso i suoi occhi d’oro.

La polvere della strada le ha impolverato i sandali mentre un lembo della lunga tunica nera si opponeva a quella repentina partenza aggrappandosi ad un cespuglio cresciuto chissà come sull’arida strada.

Chissà perchè non voleva partire, andarsene, lasciarsi dietro tutto quel dolore.

L’oro degli occhi di Syria era opaco, non luccicava, era spento.

Sprofondati in chissà quale mondo, ora, quegli occhi spauriti, all’alba di quell’oscuro giorno senza sole, l’avevano marchiata per sempre.

 La casa era come tante, in quella povera città senza nome, ai bordi, sospesa fra l’ultimo lembo verde dei campi e i primi aridi segni del deserto.

Una casa abitata da formiche, febbrili, obbedienti, operose, infaticabili, disperate.

Il pozzo, in un angolo, in fondo al cortile, era quasi secco, da mesi, e sputava solo qualche secchio d’acqua malarica che a stento riusciva a tenere in vita le bestie magre nella stalla.

Qualche pecora, un paio di capre, una mucca, due cani.

Due magri muli testardi, unici mezzi da soma e da trasporto.

La fatica di vivere era stampata sui corpi smunti di quelle povere bestie.

Gli uomini erano nei campi, lontano, legna messa a cuocere nel forno della calura che incendiava il giorno.

Erano partiti che ancora la notta non si era alzata le sottane.

Stanchi, come morti che s’avanzavano in cerca di un ultimo riparo, accudivano alle fatiche dei campi più per dovere, per abitudine, che per l’effettiva necessità dei raccolti.

Secche stoppie, arse, sterili steli, mala erba, serpenti, scorpioni, mosche e sudore che s’impastava alla polvere, erano l’unica ricchezza di quella terra.

I piedi morsi dai sassi.

Le mani ròse dalla terra assetata.

Syria passava i suoi giorni da sola.

Parlava alla piccola bambola di stoffa che invecchiava sul magro lettino e, piano, le raccontava i suoi immaginari segreti d’amore.

Parlava ai piatti di terracotta sbeccati e ai vecchi bicchieri opachi come i suoi occhi.

Parlava al vento, al sole, agli steli dei fiori che restavano infissi nella secca striscia di terra che univa la casa all’estremità appiccicosa del deserto di sabbia che si affacciava curiosa sulla vita di quella povera bimba già vecchia.

Quella mattina il vento le aveva portato una storia.

Lamenti, urla, disperati pianti e nenie di morte, le portava quel soffio che arrivava da terre lontane.

Lampi di spade, fiumi di sangue, innocenze violate.

Il re aveva mandato i suoi soldati a riscuotere un pingue bottino di sangue.

Era assetato.

E a quella fonte aveva deciso di spegnere la sua sete insaziabile.

Volubile e imprevedibile, il suo appetito scatenava improvviso i morsi delle lame che recidevano fiori innocenti, lasciandosi dietro solo sanguinanti steli a marcire e disperate madri violate, ad implorare su di sè il colpo finale.

Il vento impietoso, inclemente, quella mattina portava lo scirocco di sangue nelle orecchie di Syria e il peso del dolore gravava tutto intero sul cuore di giovane bimba già vecchia, nata senza diritto alla felicità.

Il vento non conosce misericordia, carità o compassione.

Come le cose del mondo, il sole, la luna, l’aria sottile, indifferenti, assistono ai destini degli uomini, così come quel vento, che a Syria racconta una storia dolente.

Non piange, il vento della terra promessa.

Non si ferma.

Sussurra, senza guardare, come si spengono gli occhi dorati, come si fanno duri di pietra, come si spezza il cuore di una bimba che vive da sola.

La voce del vento parla di madri e di padri e di figli sgozzati.

Il fiume di sangue che scorre arrossa il fondo del pozzo poco lontano.

Il secchio grondante è ancora riposto sul secco muretto di sassi.

Una brocca, sul tavolo, ricolma, s’aggruma pian piano.

Gli occhi d’oro di Syria si guardano intorno spauriti.

Il vento piano l’avvolge, l’abbraccia, la stringe.

Annega, la bimba, tra le spire di quel serpe che le penetra in cuore e le spegne il respiro.

Gli occhi si seccano, come il pozzo d’estate.

Il sangue si ferma, mentre il vento le narra di strazi e di morte.

La sete del re non s’appaga, anzi, vorace, golosa, s’avvampa, incarognita, ad ogni sorso succhiato dal calice colmo di sangue.

Il vento s’accosta ai piccoli seni, a quel ventre nascosto, mentre la sete del re raggiunge lo stremo e si strugge, la belva sul trono, stringendo l’inutile scettro, che, ad un tratto, improvviso, cade a terra spezzato.

Il re si raggela.

Il terrore lo avvinghia, lo scuote, lo svuota, lo sbatte, lo annienta.

Un re è povera cosa, nella terra promessa.

Il vento racconta la storia che ha visto per strada, che ha spiato, entrando dalle finestre, di sbieco, sbilenche, del palazzo reale.

Il vento è un soffio che sibila alle orecchie di bimba che vorrebbe aver mani per fermare tutto il terribile strazio che sale dal pozzo che s’empie di sangue.

La terra tutta s’imbeve di quello stazio tremendo.

Il vento, prepotente, s’impossessa del vestito di Syria e se lo porta lontano, insanguinato trofeo d’amore.

La bimba, da sola, resta a terra, stesa, tremante.

Poi, solo il silenzio, lento, estenuante, s’insinua sulla terra promessa, invade le case e, infine, inesorabile, festeggia la conquista del campo sconfitto.

Syria, innocente, si volta piano, estenuata.

Di piombo s’è fatto lo sguardo che d’oro era al mattino.

Non c’è, adesso, un’ora del giorno che rintocchi per dare misura di tanto dolore.

S’è sospeso anche il tempo, sotto il sudario del silenzio penoso.

La bimba, attorno, ora cerca un segno, un ricordo, un flebile appiglio.

Nello specchio sul muro, il suo volto è d’un mostro dagli occhi sbarrati.

Piene, le orbite, d’un vuoto sgomento.

Piombo.

Oro rappreso, marcito.

A tentoni s’avanza nel buio silenzio.

La casa è un vorticoso aleggiare, fantasmi, rumori, sinistre presenze.

Demonio, l’angelo s’è fatto, in quella danza del vento.

I morti urlano, invocano, implorano la pietà che il re non conosce.

Crudele, il destino del re si compie, morendo di sete insaziabile.

Le insegne spezzate.

Lo scettro caduto.

Il tonfo s’ode per tutta la terra promessa.

Con l’ultimo rantolo il vento s’allontana, furtivo, com’era arrivato.

Syria si alza, prende la porta, e va.

Deve andare.

Seguire il vento che va.

E raccontare la storia, a quelli che incontra, dei morti innocenti, del re, del vento che parla.

Il suo nome di stella, Syria, ha mutato il tempo che scorre piatto sul fiume.

Syria.

Il frutto del vento, ora, innocente, la bimba si porta seminato nel ventre.

La sua storia.

La storia che il sussurro feroce del vento narrava avvincendo la povera bimba innocente.

La storia che narra della strage degli innocenti nell’arida terra promessa.

7 pensieri riguardo “SYRIA

  1. Vedi Piero, questo vorrei saper fare: dare voce a chi non l’ha più. Ma non so perchè non ne sono capace… Non so se è perchè l’orrore mi paralizza e mi fa perdere le parole o se la paura di questo mondo mi fa vigliaccamente fuggire da tutto ciò che mi sconvolge. Io davvero non lo so…Ma le tue parole, come quelle di tutti coloro che sanno compiere questo miracolo: dar voce a chi non l’ha mai avuta e non l’avrà mai, mi rimangono dentro. Questo forse conta qualcosa. Per me e per tutti quelli che leggeranno parole-cose…
    Grazie…

    Di questo tuo bellissimo scritto, pieno di poesia che graffia e urla, mi piace unire due righe

    Syria,
    bimba nata senza diritto
    ad alcuna felicità.

    Non c’è, adesso,
    un’ora del giorno
    che rintocchi

    per dare misura
    di tanto dolore.

    Scusami se mi sono permessa, ma era lì, gia compiuta…
    Un grande abbraccio

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  2. Rispomderò a tutti, nei prossimi giorni.
    Sono in giro, in vacanzetta, a Praga. Mi sto rilassando un pò.
    Vi abbraccio affettuosamente per la consueta dolcezza che dedicate a queste pagine.
    Piero

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  3. Cara Patrizia,
    altro che scusarti, io ti sono grato. le tue parole, credimi, mi riempiono di piacere, danno il senso ai tentativi di dire qualcosa che non siano vuote parole. Il timore di essere banale, pietoso. Ecco, questo spaventa, a volte.
    Dare la voce, come dici tu, a quelli che non l’hanno, o non l’hanno mai avuta, ecco, questo sarebbe qualcosa davvero di importante, qualcosa per cui vale la pena continuare a dare vita al blog.
    Io non oso pormi un obiettivo tanto alto, chi sono io per qualcosa del genere? Ma se questo è ciò che senti…. allora, un grazie a te, che ai nel cuore qualcosa di così grande.
    E da quel cuore così bello sgorgano le tue parole/cose, come le chiami tu, che si abbracciano con le mie.
    Che bello, questo comune sentire!
    Un abbraccio, davvero forte.
    Piero

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