AUTORITRATTO

Franz KAFKA

Intingo il pennino nell’anima.

E’ lì, in quell’inchiostro indelebile, che si trovano le parole.

Lì, nascono e vivono, lì se ne stanno nascoste, senza farsi vedere, invisibili.

Ma si fanno sentire.

Sono come anatre selvatiche, lepri, cinghiali.

Animali che amano la natura, che vivono secondo i propri istinti.

Libere, liberi.

In cattività non sarebbero più le stesse, dietro le sbarre, in gabbia, diventerebbero solo degli spauracchi, degli spaventapasseri, dei fantasmi.

La punta della penna gioca un poco con loro, le stuzzica, ci scherza, prima di afferrare con gesto rapido, repentino, la più imprudente, forse la più impudente.

Loro sembrano scappare, restìe ad ogni confidenza, fingono di ritrarsi schizzinose, tanto sono abituate a starsene da sole in quel lago profondo, nel quale nuotano tranquille.

Ma basta un pò di confidenza e … eccole avvicinarsi una ad una a quell’esca terribile che le catturerà per esporle alla pubblica gogna della frase, del discorso, del racconto.

Ma anche questa rappresentazione melodrammatica del destino delle parole è una finzione, una messa in scena, un inganno.

Loro stanno lì da sempre e sempre per lo stesso motivo.

Stanno in agguato, immobili e si fingono innocenti.

Giocano con le loro ombre e  formano, con i loro schizzi, le figure che animano quell’immenso lago senza rive.

Là, distese sulla piatta distesa liquida, mentre fanno finta di nuotare, compongono le immagini che animano l’universo che si apre dentro di noi.

Quando la penna cala, scende, si appoggia, loro sfuggono, scappano, formicolano da tutte le parti.

Ma in realtà non desiderano altro che di essere prese, messe su un foglio e spogliate di ogni sottinteso.

E così, nude, svestite, svelate, esposte in tutta la loro crudezza, si offrono senza pudore, si mostrano allo sguardo, si porgono alla voluttà interiore di chiunque le corteggi, le ami, le sposi.

E così loro si danno, vendendosi ad occhi carichi di desiderio, di vanità, di stupìta meraviglia.

Intingere la penna è infiggere una spada.

E l’inchiostro si fa sangue.

E da quel sangue sprizza la vita, rubizza, gorgogliante, densa, quasi grassa e sfatta.

Così, il foglio si fa ferita e le parole sanguinano significati.

Una proposizione, allora, diventa un campo di battaglia e scrivere, un duello all’ultimo sangue.

Si fronteggiano, da un lato, il nobile cavaliere, in armatura sgragiante, dai modi guasconi, la spada acuminata e finemente istoriata di sensi e contenuti e, dall’altra, il rude guerriero del significato incontrovertibile, in cotta di maglia, inossidabile, impavido, tetragono, irremovibile.

Eppure le parti dei duellanti non sono mai ben definite.

Quale sia il paladino del vero e quale, invece, l’alfiere del falso, non è dato sapere.

L’inganno consiste nella sdrucciolevole incertezza da cui son possedute le parole, nel loro insicuro evaporare proprio nel momento in cui la luce cristallina del sole le illumina per mostrarne le sfumature più tenui.

In quelle sfumature si possono perdere.

In quelle tonalità sempre più vaghe si confonde il vano tentativo di dare una forma definitva alla pietra di cui pure quelle son fatte, le infedeli parole.

Eppure, proprio nella mutevole capacità di farsi metamorfosi del tutto, le parole mostrano la loro faccia più sincera, più vera.

Sta a noi saperla cogliere, a noi, che vogliamo intingere la penna nel loro oscuro presagio, a noi, che vorremmo saper coglierne il senso, il valore, la ricchezza e riempire, così, di quei segni, la candida pagina.

E con quei segni tracciamo il nostro ritratto.

Il solo ritratto fedele che possiamo lasciare di noi stessi.

10 pensieri riguardo “AUTORITRATTO

  1. Non saprei ritrarmi, cara Laura, meglio della caricatura di Kafka qui sopra.
    A lungo è stata la mia immagine sulla repubblica indipendente, il mio avatar, come si chiama.
    Cosa potrei mai dire di me, in un autoritratto? Tu te lo ricordi qael pasticciaccio che avevo tirato giù per il gruppo di Tamara, il nome e tutto il resto.
    Ecco, io in questo mi perdo.
    Chissà, mi piacerebbbe anche, ma dovrei lavorare solo di fantasia.

    Sono contento che sei passata e mi hai lasciato il tuo commento.
    Come stai? E’ un pò che non ci setiamo.
    Io sono un pò affaticato in ufficio, ma non mi devo lamentare, che sarei poi ingiusto.
    I tempi brutti in cui stiamo vivendo sono pieni di preoccupazioni e quindi teniamoci stretto quello che abbiamo.

    Solo di una cosa però abbiamo fatto bene a liberarci, la zavorra volgare e pesante del vecchio governo.
    Quuesto di adesso, ci piaccia o no la sua politica, almeno è fatto di gente normale, non … di ladri, ballerine e lacchè, tutti al servizio di un mangiafuoco impresario e impresentabile.

    Un saluto.
    Piero

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  2. Caro Piero,
    è difficile per me intingere il pennino nell’anima. A volte ho l’impressione che l’anima non sia fatta di quella materia sottile e impalpabile che dicono ma che sia densa, impenetrabile come il muro che hai messo quì. Si può darle un’immagine come il colore del graffito, spinoso o etereo ma se ti accosti lo senti che è dura, è materia che respinge e sostiene, sostiene. E come fare ad andare oltre è per me incomprensibile. Eppure lo vorrei, ne avrei bisogno, ma lo sai già che per me è troppo difficile.

    Un abbraccio
    Minetta

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  3. L’anima è ciò che siamo.
    Non parlo dell’anima in senso religioso,metafisico.
    Io dico dell’anima che sappiamo di avere dentro. Quella cosa che trasforma la nostra chimica fisiologica in sentimenti, istinti, passioni, insomma che ci fa essere uomini/donne, insomma, esseri umani.
    L’anima è anche il peccato contro natura.
    Ne abbiamo parlato, in altra forma, quando abbiamo parlato della nostra identità, della nostra coscienza.
    E la coscienza, la consapevolezza di esistere, di essere qualcosa di indipendente, di assoluto, di unico, ecco, quella è la voce dell’anima.

    L’anima è ciò che siamo.
    Non possiamo snaturarla.
    Possiamo imparare a conviverci.
    E possiamo imparare a conoscerla.
    E rispettarla, accettarla, sopportarla, tollerarla.
    Non possiamo, invece, farne a meno, liberarcene, buttarla via.
    Ti ricordi il racconto della maschera?
    Ecco, in momenti così provo a guardare al di sotto, al di fuori dell’anima, per vedere cosa c’è veramente là dove non arriva nessuna consapevolezza, nessuna coscienza.
    Ma anche lì, non trovo altro che una delle mille forme dell’anima. Chè il resto altro non sarebbe che il silenzio, il vuoto, il nulla.
    Quindi, se possiamo solo conoscere attraverso l’anima, che è il nostro organo percettivo, allora,come puoi, tu, mia cara Minù, lamentarti della tua anima?

    La senti dura, pesante, di pietra, inscalfibile, inossidabile, monolitica, austera.
    Ma sono sicuro che anche tu sai sorridere.
    Anche tu sai guardare il cielo e le stelle, lassù in cielo, e la luna d’argento, non puoi non vederla brillare, come in questi giorni, in cui sta facendosi di nuovo piena e bella come una Venere.
    E saprai vedere la bellezza negli occhi dei tuoi figli.
    E tutto e tutto il resto che ti rende viva, l’aria che respiri, il cibo che mangi, e il calore del sole sulla pelle ed i brividi del freddo che punge…

    Ecco, tutto, tutto è l’anima.
    Non solo il peso, la gravità, il tempio dalle porte sbarrate.
    Basta che tu lo voglia, ordinaglielo, vedrai che quelle porte si apriranno, davanti alla tua volontà.
    Il tempio, quel tempio, è dedicato a te, sei tu al centro della sacra cella.E’ per te.
    Cosa vuoi di più?

    Non devi preoccuparti se poi ti sembra che la penna non entri in quel lago, la cui superficie ti sembra dura come uno specchio.
    Non importa.
    Ci sono mille modi per stare ad ascoltarsi.
    Per stare ad ascoltare l’anima.
    Tu sei una creatura del silenzio.
    Lei, la rua anima, ti parla con quella voce così misteriosa, che solo tu sai decifrare.
    Non ti crederei se mi dicessi che in quella voce non senti i suoi discorsi, la sua poesia, la sua filosofia.
    Ecco, è questo che io voglio dire.
    Ognuno è schiavo della propria anima come può e come sa.
    Che io lo dica con le aprole di questo post, oppure tu con altre, o altri ancora con altri modi di dire, è sempre lo stesso.
    Ognuno deve sapere di avere un’anima e di non pterne fare a meno.
    E’ solo questo che volevo dire.

    Un bacio,
    Piero

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  4. Ciao Piero,
    che emozione rivedere il tuo autoritratto Kafkiano, quanto tempo è passato e siamo ancora amici.
    Bello il tuo racconto sulle parole e sulle lettere, mi ha fatto riflettere sulla bellezza dello scrivere.
    Ciao .

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  5. Getto l’amo della penna ma da un po’ non raccolgo…ma non fa nulla…l’anima s’è forse arrabbiata con me per qualcosa o forse è solo un po’ stanca e ha chiuso la porta per stare un po’ in silenzio…
    Bello come sempre questo tuo racconto: belle le immagini che usi per descrivere l’atto dello scrivere, specie quella della spada e bella la conclusione “E con quei segni tracciamo il nostro ritratto.
    Il solo ritratto fedele che possiamo lasciare di noi stessi” che racchiude tutto il senso di questo atto.La scrittua come atto di libertà vera. Nella vita quotidiana siamo spesso costretti ad esprimerci in modi definiti, a tenere i piedi sempre ben saldi al suolo, a “nascondere” determinati pensieri. Ma la scrittura ci libera, come una porta che si spalanca all’improvviso dentro i noi e ci mostra tutto, anche quello che non vogliamo vedere. La scrittua ci libera nonostante noi…
    Sai una cosa? Pur apprezzando sempre ciò che scrivi e il tuo modo di usare le parole, ti preferisco in questi scritti meno ricchi di riferimenti mitologici, di visioni a volte anche forti, di concetti complessi.
    E’ ovviamente un gusto personale, non certo un giudizio critico…ma invidio (nel senso buono del termine) questa tua capacità di saper spaziare indifferentemente tra la complessità e la leggerezza.
    Un caro abbraccio

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  6. Cara Paola,
    quell’immagine mi rappresenta benissimo, meglio di qualunque foto, che non saprebbe essere altrettanto autoironica.
    Ho sempre pensato che è indispensabile sapersi prendere in giro e prendere con ironia le cose della vita.
    E’ l’unico modo per sopravvivere. Ed è il modo per accettare sè stessi e il mondo.
    Immagina che cosa orribile se mi dovessi prendere sul serio! E che fatica pensare di reggere il peso del mondo sulle spalle!

    Per l’amicizia ti sono davvero grato.
    Tu sei stata la prima concittadina. Mi ricordo che passeggiavi per le strade della repubblica indipendente e ti ho incontrata ad un angolo.
    A lungo stavamo nascosti dietro i nostri alter ego. Tu “Tea”, io, il mio scrittore annichilito.
    Era un pò di tempo fa.
    Ma ora stiamo ancora in compagnia e questo è davvero un grande piacere.
    Una cosa che mi fa apprezzare questo strano mondo virtuale del blog.
    Un bacio, Paolè, e buona festa fatta.
    Piero

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  7. Cara Patrizia,
    consolati per la vacanza della tua penna.
    Sono sicuro che ascolterai musica, o leggerai, oppure ti guarderai intorno, e starai di più e meglio con i tuoi cari, con i tuoi amici, magari con te stessa.
    La penna, o, se vuoi, la porta dell’anima, prima o poi si riaprirà.
    Ma non è quella, ne sono sicuro, l’unica porta da cui si accede a quel tempio meraviglioso che è la tua anima.
    Tu ne conosci i segreti accessi.
    E, sono sicuro, sei in contatto diretto con lei.
    E’ questo ciò che conta davvero.

    Per le altre tue belle parole, sempre un grande grazie.

    Il mio modo di scrivere.
    Non so scegliere, in genere.
    Come puoi immaginare, io, che sono un dilettante, sono “la preda” catturata dalla mia penna.
    E, sotto il suo potere, sono costretto a confessare ciò che lei vuole.

    Ma, forse tu hai ragione su una cosa, in particolare.
    Mi sono chiesto, in questi giorni, a proposito di alcuni testi, quanto fossero coerenti davvero con il mio modo di vivere, di comportarmi nel quotidiano.
    Non mi piace l’idea di dire delle cose solo come sermoni, mentre poi, invece, me ne vado a spasso per la città facendo tutto il contrario.
    E, devo dirti, l’esame mi ha un pò shoccato.
    Certi sentimenti, come la fratellanza con gli altri uomini (penso al racconto di Maria e l’Angelo, o a quegli altri che in qualche modo parlano dei poveri cristi che vediamo in giro disperati per le strade, poveri, che chiedono un tozzo di pane, un pò di elemosina, che rovistano nei cassonetti o dormono sotto l’architrave di una chiesa).
    Bè, mi ha un pò ferito consatare che nonostante il mio dichiarato “buonismo” poi raramente dono qualcosa, una moneta o un tozzo di pane. Mai parlo con uno di loro. Provo, a volte, fastidio per la loro appiccicosa e sudicia presenza che talvolta si presenta nelle forme prive di dignità dell’indigenza.
    Se la vedo così, la coerenza sbiadisce molto.
    E così mi vengono desideri violenti.
    Chiudo il blog e basta.
    Smetto di dire cazzate e vado avanti. Meglio di prima.

    Allora svicolo da un’altra parte.
    Prima penso che mica si deve fare per forza come S. Francesco. Io, almeno, non saprei. E poi penso che, per fortuna, molto più coerentemente, io mi sento solo uno “normale”, uno dei tanti che ogni giorno devono vivere e convivere con le contraddizioni quotidiane.
    Che forse mi sono montato la testa, su queste pagine, se penso che dovrei vivere “santamente”, che …
    Insomma, con questo escamotage, o con questa piccola verità, allora torno a dare ai miei racconti quella normale valenza di gioco a dichiararsi, di piccola esplorazione del proprio mondo.

    Il ritratto stralunato di questo post è la mia immagine fedele.
    Lo vedi?
    In questi commenti sono uscito allo scoperto e mi sono fatto la fotografia, intingendo il pennino nell’inchiostro della mia anima, molto di più che con i racconti… oracolari.
    Ma non sempre ho la voglia, o la forza, o la premura, di espormi così.
    Altre volte voglio solo raccontare quello che abbiamo dentro, i mondi pieni di mito, di respiro, di chimere, dell’illusione del sacro e del divino, che, poi, messo tutto insieme, fa il nosntro essere sovrumano.

    Un carissimo abbraccio.
    Piero

    PS. Penso che avrei potuto chiamare questo post anche LO SPECCHIO. Perchè anche te ho visto riflessa nelle mie parole.

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