LA MERICA

Se ne sta sempre lì, in acqua, con i capelli in balìa del vento ed i piedi che sbattono sul continente dei ghiacci.

Sembra che se ne stia quasi in disparte.

Disinteressata, pare quasi, di ciò avviene nel mondo, di ciò che c’è al di là delle distese immense degli oceani, di quel che può esserci oltre la linea dell’orizzonte infinito, più in là del resto del mondo che esiste ed esisteva già prima che lei venisse davanti i nostri occhi.

E’ la distanza che la rende così, che sembra quasi inavvicinabile.

Ore di volo, ore e giorni, devono compiere gli uccelli coraggiosi, avventurandosi sopra la superficie irrequieta e mai immota delle acque che annegano il pianeta una volta varcate le Colonne d’Ercole, ore e giorni che sfiancano le ali che battono l’aria con movimento sempre più dolente, sofferto, una vera sfoda alla voltà di conquistare i mari e lo spazio.

E lì, laggiù, così lontana che sembra sempre solo un’ombra, la Merica che vogliamo conoscere ed abbracciare e stringere e baciare, se ne sta con la sua aria  che sembra non interessarsi a ciò che la circonda.

Allo sforzo degli auccelli leggeri si associa la fatica dei pur agili pesci, che attraversano le acque fendendole con le loro pinne affilate come lame forgiate da sapienti artigiani e le bevonoe  le mangiano e le respirano, con i loro guizzanti organi natatori progettati per trionfare sull’elemento che, da solo, può sconfiggere l’intera umanità ed il vigore volitivo ed eroico di ogni singolo uomo.

E lei?

Neanche pare farci caso a tutto quel traffico di naviri, aeromobili, congegni tecnologici o naturali che non bramano altro che conquistare un suo sguardo, foss’anche solo un pò distratto, e non dico una sua promessa d’amore, chè tanto vana sarebbe l’attesa che quel moto dell’animo suo potesse smuoverne la distante inarrivabile presenza.

Ma a ben guardare ci si sbaglia a giudicarla indifferente, fredda, algida, distratta.

Nei suoi occhi arde un fuoco prepotente, che al solo vederlo ci si convince subito del suo vivo partecipare alle cose del mondo.

Anzi, a vedere quelle fiamme che danzano dietro le tendine scure delle sue pupille profonde, ci si accorge che mille demoni e mille creature battono i loro tamburi dentro quel corpo così vasto e sconfinato.

Demoni e creature di ogni fatta.

Guardiani del Bene e mercenari del Male.

Paladini della Libertà ed eserciti della Follia.

Nel suo petto, pieno di grazie come un Eden incontaminato, il suo cuore rintocca i richiami delle campane della storia.

Nel suo grembo, profondo e fertile e generoso come le viscere del pianeta, cercano nutrimento le radici della modernità e del progresso.

Il suo sangue scorre a fiumi, increspando il mare delle croci dei suoi soldati morti in tutte le guerre del mondo.

Guerre giuste, se mai una guerra può essere giudicata giusta.

E guerre ingiuste. Ingiuste, come sono tutte le guerre.

Guerre ladre e vili.

Ladre di vite e di respiri.

Ladre che rubano i giovani figli alle povere madri che restano a casa a piangere.

Guerre, ladre e insanguinate.

Le distese di croci, che lei stringe in un abbraccio protettivo ed ossessivo, sembrano le decorazioni che un dio assassino si è appuntato sulla divisa da guerra.

I volti di quei giovani dovevano essere uguali a quelli dei nostri giovani.

E le lacrime di quelle madri salate come le lacrime di tutte le madri, di ogni tempo e di ogni villaggio.

Lei se ne fa collane, di quelle lacrime, monili di preziosi brillanti, che luccicano quando ogni uomo rammenta la sanguinosa ed insaziabile lotta contro il Moloch che sconvolse la Ragione d’Europa.

E quelle lacrime divennero turbine atomico scagliato contro gli umili servitori del Male da generali con mostrine e stellette impettiti davanti alle bandiere a stelle e strisce.

Quel turbine, quella folgore, quella vampa di fuoco primordiale non seppe distinguere fra complici e vittime, fra padroni e schiavi…

Schiavi e padroni che divisero i giovani con gli occhi azzurri in soldatini con le divise grigie ed azzurre, ma comunque, sempre,  adornate da nastrini dello stesso inutile colore dell’effimera gloria delle battaglie. Divise che, per i migliori, si arricchirono della stessa, medesima, medaglia eterna color sangue della ferita mortale.

Ma lei, la Merica, non pensa mica a tutto questo. Questi sono solo i miei pensieri.

Lei se ne sta lì, alla larga da tutto, circondata da due oceani sconfinati, baciata dai venti che diventano tempesta per ornare i suoi capelli delle più grandi imprese della natura.

Lei non si cura dei milioni e milioni di occhi che la desiderano, la vogliono, la bramano, al di sopra di ogni cosa, anche a costo della stessa vita.

Nessuna donna farebbe così e nessuna dea capricciosa oserebbe mostrarsi tanto distante.

Ma la Merica sta sempre lì, nell’oculare del cannocchiale dei capitani dei vascelli che trasportarono sui mari, sfidando terribili tempeste ed implacabili bonacce, braccia e occhi e cuori dalle più svariate terre del globo, gambe e volti e petti di ogni colore della pelle, neri e gialli e bianchi e rossi.

E’ come un’utopia, come una fenice, come un miraggio, come una favola, come una leggenda.

Sono partiti da ogni angolo del pianeta, uomini e donne e bambini e vecchi, malati, sani, pazzi, sognatori, disperati, per raggiungere quel suo corpo massiccio sballottato dalle correnti degli oceani, alla perenne ricerca di un impossibile attimo di requie.

Ognuno di loro sapeva in cuor suo che gli uomini che la Merica ama imparano presto a volare, a strappare le ricchezze dalle viscere della terra, a bucare i cieli, ad essere i primi in ogni cosa, i più veloci, i più potenti, i più generosi, i più voraci, i più tristi e malinconici, i più chiassosi.

Esseri umani che per miracolo si trasformano in supereroi.

Ma Uomini.

Comunque, tutti, solo uomini.

Uomini che cercavano un destino, che inseguivano una speranza.

Uomini che cercavano la Merica.

E da allora, fino ad oggi, nessuno sa che lei, la Merica, se ne sta ancora lì, un pò indifferente, un pò annoiata, stanca.

Sta aspettando ancora, col suo dolce cappellino di crinolina e il bel musetto vezzoso, il suo capitano che la inviti a ballare, con la divisa ben stirata e la canna di metallo duro nella cintura.

Sarà per lui, allora, il prossimo ballo.

Quando, finalmente, arriverà.

9 pensieri riguardo “LA MERICA

  1. Mi piace questa “Merica” dal volto umano. Contradditoria, piena di ombre e luci come ogni umano. I paesi sono come gli uomini li fanno…mi sembra questa la morale, se così possiamo chiamarla, di questo tuo scritto.
    Un paese grande per certi aspetti e meschino pe altri, ma è molto diverso da tutti gli altri? Intorno ad esso vive un indiscutibile alone di fascino derivato da come l’abbiamo conosciuta e avvicinata, dalla storia delle sua antiche civiltà, dalla sua capacità di portarci ventate di aria nuova. Ora mi appare però anche lei, come una bella, ancora affascinante stanca signora.
    Che strani pensieri mi hai fatto scrivere…!
    Un caro abbraccio.

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  2. Questo pezzo non l’ho ancora neanche riletto, cara Patrizia e sicuramente ci sarà qualche strafalcione imprevisto.
    Ma il senso che volevo dare della Merica è proprio quello che hai colto tu.
    Come una bella ancora affascinante stanca signora.
    Proprio come l’hai sintetizzata tu.
    La sua bellezza è evidente e solare.
    E parlando di belleza dico sia di quella naturale, del territorio, delle praterie, dei parchi, del mare selvaggio e verde ancora come quello dei caraibi , ma dico anche la bellezza di quella visione del mondo progressiva, illuminista, se me lo consenti, direi quasi quelle prospettiva che ai miei tempi chiamavamo … del sole dell’avvenire.
    Molti miti miei (e non solo) sono miti americani: Dylan, Joan Baez, Woodstock, la protesta, la libertà, la società aperta …
    Sono made in usa.
    O almeno … lì vengono imbottigliati e commercializzati.

    Ma, a proposito di business, la Merica è anche la patria del business, dello show must go on. Il luogo dove la profondità dell’anima non si misura in versi o sentimenti ma con le cifre del conto corrente.
    Lì il vecchio è inutile e dannoso e non può diventare mai museo di sè stesso.
    La natura è rigogliosa ed immensa, ma è anche appetitosamente apparecchiata per i businessman che devono farne moneta sonante e potere sul mondo.

    Insomma, libertà e cocacola.
    Che insieme non è che stiamo proprio tanto bene.
    Ma tanto loro non lo possono capire.
    Loro la cocacola, come il ketchup lo mettono su tutto.
    Anche sulla libertà.

    Un abbraccio.
    Piero

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  3. La sognavano in molti, la cercavano in tanti: La Terra dell’ Eldorado.
    Allora, carichi di sospiri umani, traversavano una distesa bella e
    paurosa. Poi, appariva Lei: La Merica, bella e misteriosa.
    Groviglio di razze e speranze, di grosse fortune e di infinito scoramento. Esagerati in tutto, nel bene e non.
    Ma, c’è ancora chi la sogna …

    Un abbraccio
    Ombre

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  4. Carissimo Piero certo che mi piace il tuo ultimo clip, molto moltissimo, quanto moltissimo te lo dico in un orecchio… sentito? Mi raccomando però, non dirlo a nessuno! Non conosco il titolo della bella canzone, ne trovi sempre di così interessanti
    Esco or ora da una doccia fredda, di quelle inaspettate e gelate, niente di grave intendiamoci, ma impreviste e per questo un po’ (un po’ tanto) disorientante. Per non esplodere… e riequilibrare la pressione come al solito mi eclisso in tristezza aspettando che passi. Da lì poter vedere il tuo bellissimo sorriso che sembra dire ‘dai dai va bene anche così, va tutto bene lo stesso’, ha fatto sì che…
    eccomi quà.
    La Merica non fa mica poi tanto male sai a tenersi lontana, distante e apparentemente indifferente, non c’è modo migliore per tenersi lontano dai guai, ha una storia troppo ‘giovane’, è selvaggia per alcuni versi, sconosciuta, un guazzabuglio di lingue incomprensibili. Penso che sia una terra difficile, dall’apparente facile accesso alla comprensione.
    Le immagini sono bellissime, grazie per aver messo anche quelle che preferisco
    Ciao A presto
    Mina

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  5. L’ ho letto in un baleno, molto velocemente perchè sto andando a prendere l’ ultimo scampolo di sole al mare…poi ritornerò.
    D’ istinto posso dire che hai fotografato gli eccessi in basso e in alto della Merica e mi è piaciutoveramente tanto il video.
    Ciao Piero.

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  6. Hai ragione Ombretta (ti chiamerò così, ora che sei diventata … un’ombra flessuosa), loro fanno le cose sempre in grande, devono sempre esagerare tutto, nel bene e non, nella bellezza come nelle sciagure.
    Per me è un paese strano, abitato da un popolo ancora più strano.
    Ma poichè penso che la varietà è ricchezza, devo concludere che la loro variopinta complessità arricchisca il mondo al di là delle semplici battute che si potrebbero fare.
    Un abbraccio
    Piero

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  7. Cara Mina,
    spero che la doccia gelata a cui hai fatto cenno non sia troppo dannosa per te.
    Io non ti conosco per niente, praticamente, i tuoi commenti sono la sola traccia della tua esistenza. Potresti essere addirittura un UFO, o una dea dell’olimpo.
    Ma la tua simpatia e il tuo calore sono impressi nelle tue parole, perciò sei una concittadina a cui voglio molto bene.
    Se le mio foto ti hanno in qualche modo dato un attimo di sollievo, beh, vuol dire che sono servite a qualcosa davvero!
    Un caro abbraccio e a presto (anzi, a momenti migliori!)
    Piero

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  8. Cara Paola,
    grazie per la visita.
    Spero che il mare che hai trovato oggi sia stato luminoso come era oggi Roma.
    Una luce che sembrava di diamante giallo.
    ça tua, lì, sui lidi ravennati, doveva essere di turchese scintillante!
    Un caro saluto
    Piero

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  9. Caro Piero,
    hai fatto centro, sono un Ufo. Credo che scriverò qualcosa su Cittadini in Piazza, se posso, magari con la musica di Battiato (l’Alieno), fra qualche giorno. Anch’io ti voglio molto bene perchè sei gentile sempre anche con chi non conosci e che probabilmente non conoscerai mai, e questo per me è moltissimo, quanto moltissimo… non te lo dico perchè lo puoi capire da te. Un Ufo non trova facilmente da conversare, nè lo cerca, se capita è un fatto strano o quasi, insomma una cosa così. Non è solo un sollievo. Vedi, è già meglio,
    ricambio l’abbraccio
    Mina

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